LIBIA, PARTONO I SOLDATI

Via libera del governo all'intervento delle navi della Marina. Scacco alla Francia

LIBIA, PARTONO I SOLDATI

Quanto tempo perso, quante parole sprecate (nel nostro caso anche quanti insulti ricevuti) e quanti miliardi di euro gettati per arrivare oggi a fare ciò che andava fatto dall'inizio di questa tragica vicenda. Per fermare l'invasione degli immigrati ieri il Consiglio dei ministri ha dato via libera all'invio di un contingente militare aeronavale al largo delle coste libiche. Su questo c'è un fragile accordo con l'altrettanto fragile governo di Tripoli che continua a barcamenarsi tra il confermare e lo smentire l'intesa. Ma, giunti a questo punto, poco importa cosa ne pensino i libici. Per una volta concentriamoci sui nostri interessi e sulle opinioni della politica che, negli ultimi mesi, sono diventate praticamente unanimi e convergenti con le nostre.

Fuori di metafora, questa è un'operazione di guerra, difensiva, ma pur sempre guerra. Non contro un altro Stato o un altro popolo, ma contro una delle più grandi, potenti e fetenti organizzazioni criminali (i trafficanti di uomini) che opera gomito a gomito con i tanti signori della guerra che si contendono il controllo di quello sciagurato fazzoletto del mondo. Per questo non sarà una passeggiata e dobbiamo mettere in conto che possa accadere di tutto, sia sul teatro delle operazioni che, per ritorsione, in casa nostra. Stiamo per salvare migliaia di uomini da uno stato di schiavitù (e molti di loro dalla morte per annegamento), ma stiamo anche per chiudere il rubinetto che forniva miliardi di euro e dollari a mafiosi, capitribù e feccia di vario genere. Non saranno contenti, non penso staranno a guardare.

Gentiloni ha avuto coraggio, gliene diamo atto, e avrà l'appoggio politico che una simile decisione merita (certamente del centrodestra). Ma già mi vedo gli avvoltoi avventarsi sulla preda del primo incidente, del primo effetto collaterale di questa missione. È a quel punto che si vedrà se siamo un Paese o un accrocchio di cialtroni.

Da qui in avanti teniamo ben presente che siamo nel giusto: usiamo la forza non per fare male a innocenti, ma per difendere la legalità, senza la quale nessun tipo di solidarietà può produrre gli effetti sperati. E, per farlo, mettiamo a rischio la vita dei nostri ragazzi in uniforme. Che è l'uniforme di una democrazia, sgangherata, ma vera.

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