Giuseppe Marino
Roma - Si raccontano come incollate all'Italia da un destino crudele, dal capriccio della Storia. E intanto godono dei vantaggi dell'autonomia, fondi inclusi. Atteggiarsi come chi tiene sempre il piede sulla porta, chi urla «tenetemi o me ne vado» è un vezzo che tanti esponenti delle cinque regioni a statuto speciale hanno spesso cavalcato nel dibattito politico, salvo poi raccogliere a piene mani i frutti più perversi dello Stato centralista, incluse faraoniche indennità parlamentari e generosi vitalizi.
Dei ricchi assegni dei politici siciliani abbiamo detto in passate puntate di questa inchiesta, ma anche passando in rassegna la situazione degli ex deputati di Sardegna e regioni autonome del Nord (Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia e Val d'Aosta) si scopre che essere eletti nelle «aree di confine» rende mica male. La pattuglia di volti «autonomisti» scelti a titolo di esempio, versando contributi per un totale di due milioni di euro ne ha portati a casa sette, uno spread di 5 milioni. La politica si conferma così il migliore degli investimenti possibili, consentendo di aumentare il capitale di tre volte e mezza.
Il personaggio più noto della selezione è «Tex» Willer Bordon, un politico navigatissimo, specialista nel fondare partiti: per dire, partecipò nel '98 alla fondazione dell'Italia dei valori e nel '99 ai Democratici. Balzando tra Radicali, Comunisti e Asinelli vari, facendo lo slalom nelle slavine della Prima Repubblica, si ritrovò anche ministro dei Lavori pubblici del governo prima e dei Beni culturali poi con D'Alema, e alla «Tutela del territorio e del mare» con Lamberto Dini. Nel 2008 si è congedato dalla politica con un finale che, visto col senno di poi, assume un sapore di beffa (agli italiani). L'anno prima firmò un farlocco «contratto con gli italiani» in tv dall'autorevole palco di «Crozza Italia». Nel documento prometteva di dimettersi da senatore il giorno del suo compleanno, presentandolo come estremo sacrificio sull'altare della dignità della politica. A gennaio del 2008 spense le candeline e salutò con una lettera altisonante: «Il mio non è un atto di rassegnazione, né tantomeno un gesto aventiniano, ma un atto forte di testimonianza di chi sente il dovere di difendere le istituzioni dalla deriva di sfiducia che investe la politica», naturalmente denunciando il «sistema di rendite, spesso difese da prassi consolidate, connotate dal privilegio quando non dall'illegalità». Quel gesto salutato allora come inconsueta manifestazione di rettitudine morale, oggi si potrebbe anche leggere come un record di fiuto opportunistico. La legislatura, la XV, la più breve della storia repubblicana, terminò neanche tre mesi dopo. Ma Bordon, arcigno denunciatore delle rendite politiche, non ci rimise nemmeno in quel trimestre: da allora ne intasca una, di rendita, che ammonta a quasi 7mila euro al mese. Dall'Aventino peraltro cercò di scendere immediatamente, concedendosi il lusso di creare un ultimo movimento a cui però abboccarono in pochi. Oggi annega la delusione nel biofuel, di cui è diventato produttore. In costanza di vitalizio, ovviamente.
Essendo pensionato relativamente recente, Bordon non svetta però nella classifica dello spread tra contributi versati e assegno già percepito. Il primo posto nella graduatoria di questo pattuglione spetta invece a un altro nativo del Friuli Venezia Giulia, Mario Toros. Il 93enne ex sindacalista, più volte sottosegretario e ministro, a 93 anni ha già accumulato un tesoretto di un paio di milioni. Segue distanziato un altro rappresentante «furlan», l'ex ministro Giorgio Santuz. C'è poi il gruppo dell'Alto Adige, capitanato da Michl Ebner, autonomista del Südtiroler Volkspartei il quale per anni ha potuto cumulare, oltre al vitalizio maturato grazie al servizio nell'esecrato parlamento di Roma, anche l'indennità da europarlamentare.
Miracolato dalla politica italiana anche il suo compagno di partito Johann Georg Widmann, sindacalista, la cui notorietà è legata soprattutto all'essere stato il primo parlamentare individuato ed espulso dall'allora presidente della Camera Pier Ferdinando Casini quando si accese la polemica sui «pianisti», i deputati manolesta che votavano anche per i colleghi assenti. Non manca anche un rappresentante dell'Union Valdôtaine e un sardo come Mario Pitzalis.(13 - continua)
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