Ha la bava alla bocca, Luigi Di Maio. Non si dà pace di non potere governare da solo o, in subordine, con amichetti docili di suo gradimento. Alla vigilia dell'inizio delle consultazioni con il capo dello Stato, ripete: con chiunque ma non con Forza Italia (e neppure con Renzi). Non è un fatto politico, che sarebbe legittimo, per una divergenza su contenuti e programmi. È puro odio nei confronti di Silvio Berlusconi e dei milioni di italiani che, ancora una volta, l'hanno votato. Di Maio è un razzista, si ritiene antropologicamente superiore al popolo moderato-liberale e al suo leader, ripetendo così l'errore fatto per vent'anni dalla sinistra, alla fine morta di antiberlusconismo, malattia dei mediocri e dei frustrati. I Cinquestelle vorrebbero Berlusconi morto, per provare a spartirsi i resti e nell'attesa provano a isolare lui e i suoi elettori come si fa con gli appestati e gli untori. Corteggiano e lusingano (a giorni alterni, per la verità) la Lega, nella speranza che faccia da killer, abbandonando l'alleato al suo destino.
Io non so cosa farà Salvini, non conosciamo le prossime mosse di Berlusconi e di Forza Italia. Ma una cosa è certa. Se anche Di Maio ottenesse da qualcuno la testa di qualcun altro (tendo ad escluderlo, ma in politica mai dire mai) non avrà mai la nostra, di testa, non il rispetto che si deve comunque a un leader, non il minimo consenso alla sua azione politica. Umiliare chi, a prescindere dai giudizi, ha scritto pagine importanti della storia di questo Paese, trattare come paria i suoi elettori e disprezzare le idee altrui sono cose da fascistello, detto con rispetto ai fascisti. Se questo è l'inizio dei «Cinquestelle di governo», figuriamoci cosa potrebbe essere il prosieguo. L'Italia divisa tra buoni e cattivi in base all'idea politica. Oggi tocca a Berlusconi, un domani - con Di Maio al governo - a ognuno di noi. Saremmo processati dal tribunale del popolo di Grillo, e non è fantascienza perché nel mio campo è già successo con le liste di proscrizione dei giornalisti da mettere all'indice, di cui sono già socio onorario da anni.
Capisco la delicatezza del momento, comprendo le
difficoltà dei partiti, ma vedo nei politici troppa cautela e incertezza a rispondere per le rime a questo saputello. Più coraggio, per favore. Non è ancora reato dire con chiarezza e a viso scoperto: «Di Maio, ma vaffanc...».
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