"Mia figlia Carolina si è uccisa e i cyberbulli restano impuniti"

Il padre di Carolina Picchio: "Serve una legge contro il cyberbullismo". E si batte perché il progetto non venga snaturato

"Mia figlia Carolina si è uccisa e i cyberbulli restano impuniti"

2.600 commenti in 10 minuti. Cioè 260 al minuto. Cioè tra i 4 e i 5 messaggi al secondo. Queste cifre danno l’idea della dimensione con la quale i social network possono amplificare un qualsiasi contenuto messo sulla rete. Nel caso specifico un video in cui una ragazza perbene, una studentessa di 14 anni, viene messa alla berlina mentre è in uno stato di catalessi da alcuni suoi coetanei che la molestano. Il 15 dicembre 2012 quel video viene messo in rete, “postato” come si dice. E precipita la vita di Caterina, questo il nome della vittima, in un vuoto prima emotivo e poi anche fisico. Perché Caterina il 5 gennaio 2013 si lancia in quel vuoto, mettendo fine alla sua vita.

“Mia figlia aveva una forte personalità, aveva già respinto alcuni di quei ragazzi. L’invidia, la gelosia, il maschilismo di questi ragazzi che lei aveva mollato hanno creato una coalizione micidiale per isolare Carolina dal consesso in cui viveva”. Paolo Picchio è un uomo reso lucido dal dolore. Oggi combatte una battaglia di civiltà perché nessuno abbia a patire ciò che ha patito la sua bambina. Il suo attivismo è al centro di una serie di progetti rivolti ai giovanissimi: in primis un centro nazionale che si occupi specificamente di cyberbullismo con referenti su tutto il territorio, regione per regione. Picchio non si è posto limiti in quest’attività (“e aspetto dal ministero dell’istruzione 180mila euro di finanziamenti stanziati e mai arrivati”, precisa): collabora con il vescovo di Novara monsignor Brambilla, ha incontrato Papa Francesco, segue iniziative parlamentari in materia di cyberbullismo e con il professor Luca Bernardo, direttore della casa pediatrica del Fatebenefratelli di Milano, ha lanciato un progetto pilota rivolto alle vittime di cyberbullismo.

“La cosa più grave è che questi ragazzi non si rendono ancora conto di cosa hanno fatto. Hanno approfittato di una loro coetanea in trance, probabilmente le hanno dato delle sostanze che l’hanno ridotta in quello stato. L’hanno messa alla berlina, quei commenti sono pieni di insulti infamanti. ‘Che schifo, stai vomitando, ti fai palpeggiare da quelli’, cose di questo genere”. Sommersa da quest’onda nera, Caterina ha trovato la forza di scrivere una lettera dettagliata su tutto ciò che le era accaduto, facendo nomi e cognomi dei suoi aguzzini. Dolendosi della loro totale inconsapevolezza circa la violenza inflittale. “La legge è ferma alla Camera, magari per sbloccare l’iter aspettano una nuova vittima… E il progetto è stato snaturato completamente. Infatti l’ultimo comma di questo disegno di legge fa riferimento allo stalking. Nel senso che qualsiasi persona che si vede insultata via internet può chiedere la rimozione di ciò che lo lede al Garante della privacy. Che viene quindi sommerso da centinaia di migliaia di richieste d’intervento, tra le quali ci sono minorenni e maggiorenni”. Ma a Paolo Picchio sta a cuore anche un altro aspetto: “I ragazzi saranno i genitori del futuro. Se coloro che hanno fatto del male a Carolina non passeranno per l’espiazione di una colpa, che genitori saranno? Hanno commesso un reato gravissimo, concorso in pubblicazione di materiale pedopornografico. E nemmeno i loro genitori si sono resi conto di ciò che è successo, nessuno ha chiesto nemmeno scusa. Il percorso di recupero di questi ragazzi sarà molto duro e pesante, com’è giusto che sia. Non voglio che la loro dichiarazione di colpevolezza e la richiesta di essere messi alla prova siano un tentativo di evitare il carcere minorile”.

Lisa Di Berardino, vicequestore aggiunto della Polizia postale, sottolinea le difficoltà di un lavoro degli uomini e delle donne in divisa comunque incessante su questo fronte: “Per muoverci abbiamo bisogno di una denuncia della persona offesa. Quindi la Polizia di Stato può chiedere alla società che gestisce quel network di oscurare il contenuto offensivo. Il problema è che spesso queste società sono all’estero, con giurisdizioni molto permissive rispetto alla libertà d’espressione. Spesso poi, il contenuto viene rimosso prima del nostro intervento. La questione è educare i bambini che spesso hanno uno smartphone già alle elementari”. La Di Berardino pone l’accento sull’effetto-valanga della rete: “Un video visto da alcune persone da uno stesso videofonino ha una condivisione limitata. Ma quando quel video viene condiviso ha inizio una catena di Sant’Antonio difficilmente arrestabile. La rete non perdona”.

Enzo De Feo, ingegnere informatico (suoi i totem touch di Expo 205), riprende proprio da questo punto il ragionamento: “Quando eravamo ragazzini il bullismo esisteva, ma restava confinato alla classe, alla comitiva, insomma a un numero ristretto di persone. Oggi con la rete arrivi in tutto il mondo. È un amplificatore universale, senza confini geografici. E nella massa ci sono anche spioni, malintenzionati e così via. Temo ci saranno altre vittime come Carolina o Tiziana, perché non esiste un canale preferenziale delle forze dell’ordine italiane per accedere ai server delle società che gestiscono social network o grandi archivi, i cosiddetti big data. Negli Stati Uniti ci sono le grandi società di networking, che utilizzano gli archivi degli utenti a scopi commerciali. Non rinunceranno facilmente a un video che ottiene molti click, perché ciò significa traffico e traffico significa soldi. L’Italia, le autorità italiane, dovrebbe ottenere una corsia preferenziale per accedere ai server e tutelare chi viene leso da offese sulla rete”. E il famoso diritto all’oblio? “Quasi tutti i social sono consorziati- dice De Feo. Ma la singola foto o il singolo video o il post, seppur a fatica, li puoi far rimuovere. Ma le parodie, la viralità, come fai? La povera Tiziana aveva creato veri e propri tormentoni sulla rete, imitazioni e quant’altro”. I problemi sul tappeto sono moltissimi, il cyberbullismo sarà un nuovo fronte di lotta nei prossimi anni.

“Le parole fanno più male delle botte… cavolo, se fanno male!”:

queste parole dell’ultima lettera di Carolina Picchio, “suicidata” a 14 anni da chi le ha tolto la dignità con lo scopo di renderla isolata dal contesto nel quale viveva. Parole che suonano quasi come un testamento morale.

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