Migrante spaccia, non viene espulso. Per il giudice non c'è "giudizio di pericolosità concreto"

La Corte accoglie il ricorso dell'immigrato: avere due condanne per droga (di primo grado) non basta. Serve "un giudizio di pericolosità sociale in concreto"

Migrante spaccia, non viene espulso. Per il giudice non c'è "giudizio di pericolosità concreto"

L'immigrato aveva presentato il rinnovo per il permesso di soggiorno che gli era scaduto. La prefettura di Ancona, presa visione della sua fedina penale, si è però resa conto che sulle sue spalle pendevano due condanne penali (non definitive) per droga. Così non solo gli ha negato il documento, ma ha anche emesso un conseguente ordine di espulsione dall'Italia. Peccato che il migrante abbia presentato ricorso e che la Cassazione gli abbia dato pure ragione.

Partiamo dal principio. L'ordine espulsione del prefetto di Ancona è datato 21 giugno 2017. Come riporta Il Tempo, il migrante ha fatto ricorso al giudice di Pace che però lo ha respinto affermando che le due condanne per droga fossero sufficienti per definire la sua "pericolosità sociale" e giustificare "la conseguente espulsione".

Ma questa impostazione è stata rivista dalla Corte di Cassazione. L'avvocato del ricorrente ha infatti fatto notare ai giudici che, avendo parenti in Italia, l'uomo aveva presentato la richiesta di rinnovo del permesso per "motivi di coesione familiare". E così la Suprema Corte ha deciso di annullare l'espulsione del migrante spacciatore. Il motivo? Secondo il "Teso unico sull'immigrazione", modifica del 2007, "in caso di richiesta di rilascio del permesso di soggiorno per motivi di coesione familiare" non è più prevista "l'applicabilità del meccanismo di automatismo espulsivo in virtù della sola condanna dello straniero per alcuni reati".

Il "meccanismo di automatismo" di cui parlano i giudici significa che la prefettura non può considerare a priori la "pericolosità sociale" dell'immigrato basandosi solo sul fatto che abbia ottenuto delle condanne per alcuni reati. Se vuole negargli il permesso di soggiorno deve dare un "giudizio di pericolosità sociale effettuato in concreto".

Il fatto è che invece la Prefettura di Ancona avrebbe emesso - riporta Il Tempo - in questo caso specifico, un decreto basato "esclusivamente sulla presunzione di pericolosità" dell' immigrato.

Poiché il prefetto non aveva valutato le "ragioni di coesione familiare" né aveva prodotto "un giudizio di pericolosità in concreto", i giudici hanno deciso di accogliere il ricorso dell'immigrato. Che potrà anche incassare i soldi delle spese processuali, ora a carico di Prefettura e ministero dell'Interno.

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