Una guerra dentro un giornale è una semplice guerra dentro un giornale. Ma una guerra dentro il Corriere è una bomba sganciata sul sistema dell’informazione. Perché il Corriere ,come è noto, non è un giornale. È un potere. E neppure il quarto, in Italia. Qualcosa di più.
Dentro il Corriere , storico campo di battaglie non solo giornalistiche, è da tempo in corso una guerra pesantissima tra la base dei giornalisti e il direttore Ferruccio de Bortoli, al suo secondo, e ultimo, mandato: «La sua agonia durerà fino a marzo, poi lo fanno fuori...», assicura una gola profonda di via Solferino. Ancora un paio di mesi fa, nel momento in cui il suo posto sembrava saltare a favore di Mario Calabresi - che la quota Fiat dell’azionariato del Corriere voleva portare a Milano, liberando la Stamp a dalla sua direzione poco redditizia - , De Bortoli proclamò una straordinaria giornata dell’«orgoglio di appartenenza al Corriere », promettendo valorizzazione professionale dei redattori e rafforzamento dell’identità della testata. «Impegni disattesi», dice oggi il Comitato di redazione, cioè il sindacato interno. Però lui salvò la poltrona. Che, ieri, è tornata a cigolare, strattonata da una lettera durissima inviata dallo stesso Cdr al direttorissimo. Che, peraltro, è in vacanza. E di cosa il Cdr accusa De Bortoli? Uno: di non far scrivere giornalisti interni favorendo costose firme esterne ( «Nonostante le ripetute asserzioni sulla necessità di diminuire la spesa per le collaborazioni, assistiamo a un costante aumento dei costi relativi: che, appena un anno fa, la direzione quantificava ufficialmente in 9,1 milioni di euro e che oggi sono lievitati a 12»). Due: di trasformare alcune pagine del giornale in una bacheca pubblica in cui il politico di turno appende i propri annunci («Enormi spazi delle pagine più importanti vengono quotidianamente lasciati a rappresentanti politici sotto l’ipocrita forma di “lettera”, dando luogo di fatto alla diffusione di qualcosa di ben diverso dall’informazione...
Membri del governo scrivono editoriali senza che neppure ne venga indicato al lettore il ruolo istituzionale»). Tre: di essere eccessivamente tollerante rispetto a un male storico nei giornali e nel Corriere , ma oggi endemico, come il nepotismo («Assistiamo quotidianamente alla comparsa sul giornale di componenti della stessa famiglia: fratelli, padri e figli, padri e figlie, mariti e mogli, mariti di..., mogli di..., generi di...». Forse chi ha scritto il j’accuse pensa a Stefano Jesurum, da poco in pensione, genero di Enzo Biagi. O al critico cinematografico Paolo Mereghetti, marito della collega Orsola Riva, figlia di Massimo Riva, giornalista amico di De Bortoli e per nove anni senatore del Pci. O Maria Laura Rodotà, figlia di tanto padre. O Gianna Fregonara, moglie di tanto Letta. Enrico.
Ora, che qualche giovane cronista, dentro quella cattedrale del giornalismo italiano che è il Corriere della sera , si lamenti di avere poca visibilità rispetto ai grandi editorialisti, ai commentatori, agli inviati storici, è qualcosa che è sempre accaduto. E che ci si lamenti dei troppi soldi e troppi spazi elargiti dai vertici del giornale ad «amici», «parenti » e «politici», anche. Ma in tempi in cui ad essere in crisi, oltre alla politica e all’economia, è anche la carta stampata, i nodi vengono più facilmente al pettine. E fanno più male. «Con Francesco Giavazzi, in prima pagina, facciamo furenti campagne contro il nepotismo universitario, e poi ci troviamo in casa quello giornalistico...», spiffera una giovane firma.
Insomma: il Corriere prima chiede e ottiene, di fatto, un sostegno economico pubblico per lo stato di crisi. Allontana nell’ultimo periodo 49 giornalisti, incentivati al prepensionamento. E poi distribuisce soldi e rubriche a palate a nuovi collaboratori esterni.
Aldo Grasso, fanno notare a via Solferino, ha sei rubriche (una di tv, quella del lunedì che era di Francesco Alberoni, una sul Corriere.it , tre sui periodici del gruppo: Io donna , Style , Sette ).
È bravo. Ma è giusto, ci si chiede? In più, ogni settimana, scrive due pagine su la Letturafirmate insieme con la sua allieva Cecilia Penati. Altri colleghi, invece, sottolineano lamoral suasion che il potentissimo Aldo Grasso eserciterebbe sulla scelta dei collaboratori e redattori, di chi può scrivere e chi no... Ma sono voci. A proposito di potentissimi. Fonti attendibili dentro il Corriere riferiscono che Pietro Citati, barone della critica italiana, è pagatissimo ( 4mila euro ad articolo, si dice). Poco? Troppo? Giusto? Un’altra fonte ricorda, però, della telefonata imbarazzata che lo stesso De Bortoli dovette fare a Citati segnalandogli i malumori interni per alcuni pezzi consegnati alle pagine della Cultura molto simili a suoi vecchi articoli già pubblicati su Repubblica. E l’orgoglio Corriere ne uscì sfregiato.
E a proposito del mega-supplemento culturale la Lettura . Qualcuno mal sopporta il fatto che ci si avvalga di decine di nuovi collaboratori, alcuni grandi nomi e altri sconosciuti («Scelti da chi? e perché?» ci si domanda) mentre i redattori non vengono utilizzati. I più maligni hanno segnalato poi - ma qui si scade nel gossip dei blog letterari - che alcune di queste nuove firme, come Gilda Policastro o Veronica Raimo, si presentano sui loro siti internet in pose tra l’ammiccante e il sexy. Dalle veline alle solferine. E l’orgoglioCorriere ne uscì a pezzi.
Poi c’è la contestatissima campagna acquisti in altre testate (solo per caso esclusivamente di sinistra), assumendo o chiamando a collaborare molti giornalisti provenienti soprattutto dal Riformista , grazie alla sponsorizzazione dell’emerito opinionista Antonio Polito (sponsorizzato a suo tempo da D’Alema), che firmano subito in prima pagina. Da Tommaso Labate a Luca Mastrantonio. Una volta, invece, si assumeva gente (quasi)solo dall’ Unità ... dal condirettore Luciano Fontana al caporedattore Gianpaolo Tucci, la cui moglie, Angela Frenda, ebbe l’incarico di seguire Veronica Lario... Anche se, a pensarci, pure Lucrezia Reichlin, che oggi scrive in gran spolvero di economia sul Corriere , è figlia di Alfredo, altro storico direttore del quotidiano comunista.
Allora, forse, significa che dentro a via Solferino non cambia mai nulla.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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