(Da Agrigento) Ancora la mafia nigeriana protagonista, ancora giri di prostituzione e riduzione a schiavitù di ragazze che arrivano in Italia con il sogno di condizioni di vita migliori. Questa volta l’indagine viene chiamata “Route 385”, dal nome della statale che unisce il Calatino con l’autostrada Catania – Siracusa dove alcune ragazze nigeriane vengono spedite per cercare clienti.
Sono cinque gli arrestati dell’operazione compiuta dalla Squadra Mobile di Catania, con la collaborazione della Direzione Distrettuale Antimafia. Tutto parte dalle dichiarazioni di una ragazza nigeriana, una vittima della tratta che racconta nel dettaglio quanto accade sia nel suo paese e sia in Italia una volta ritrovatasi tra i tentacoli dell’organizzazione sgominata nelle scorse ore dalla Polizia.
Reclutata in Nigeria, viene costretta a percorrere per mesi il lungo tragitto verso la Libia e poi, da qui, viene portata in Italia con uno dei tanti gommoni salpati dalle coste del paese africano negli anni passati. La ragazza, le cui dichiarazioni vengono giudicate attentibili e riscontrate dalle attività di indagine, fa nomi e cognomi di aguzzini e carcerieri. In tal modo, la Squadra Mobile riesce ad individuare l’organizzazione che opera a Catania: vengono arrestati nel capoluogo etneo Susan Elaho, Naomi Ikponwmasa e Ehimwenma Osagie. Le prime due sono sorelle, capaci di diventare in poco tempo referenti della mafia nigeriana nel mercato della prostituzione. Osagie invece rappresenta un elemento di spicco della criminalità nigeriana in questa parte della Sicilia orientale.
Le donne, per organizzare le proprie attività illecite, sono in contatto con un nigeriano residente a Tivoli: si tratta di Lawrence Ogbomo. È lui a prelevare le ragazze dai vari centri ed a metterle a “servizio” della banda sgominata a Catania. In provincia di Roma, risiede anche un’altra donna collegata al sodalizio criminale nigeriano: Helen-Susan Ikponwmasa. Tutti e cinque gli affiliati alla banda sono oggetto dei provvedimenti di fermo richiesti dagli inquirenti catanesi.
I cinque però, non avrebbero agito da soli. Il gruppo nigeriano infatti, sarebbe a sua volta in contatto con altri gruppi operanti tra la Nigeria e la Libia. Il copione è lo stesso: molte ragazze vengono reclutate nel Paese africano, a volte promettendo loro condizioni di vita migliori oppure nei casi estremi imponendo alle giovani donne questa scelta con minacce in cui vengono praticati anche riti voodoo.
Una volta giunti in Libia, entrano in azione i criminali sia libici che nigeriani o di altri paesi africani che operano in Tripolitania. Il sodalizio malavitoso sgominato a Catania, altro non è che l’elemento terminale di un asse criminale che collega Nigeria ed Italia, passando per la Libia. Una situazione già riscontrata in numerose altre inchieste, l’ultima in ordine di tempo quella che lo scorso 28 gennaio, sempre a Catania, porta in carcere 15 esponenti delle “Vikings”, le bande della mafia nigeriana. In quel caso ad essere coinvolto è anche il Cara di Mineo.
Il maggiore elemento di novità, consiste questa volta nel fatto che le indagini sono agevolate dalle dichiarazioni di una ragazza capace di liberarsi dal macabro
gioco dei suoi aguzzini. Una goccia nell’oceano che però può far rumore, spingendo altre ragazze a parlare ed a fare maggiore luce su una delle piaghe maggiori introdotte nel nostro paese ed in Europa dalla mafia nigeriana.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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