Perché un Papa senza castello non aiuta i poveri

Bergoglio ha deciso: la "sua" residenza estiva diventerà un museo. Scelta controproducente

Perché un Papa senza castello non aiuta i poveri

Se Trump vince le elezioni e viene a Roma in visita ufficiale, Papa Francesco dove va? Quando Hitler nel 1938 manifestò il desiderio di vedere i Musei Vaticani e San Pietro, Papa Pio XI decise di sbarrare sia i musei sia la basilica e, per rimarcare ulteriormente la sua contrarietà, se ne partì per Castel Gandolfo. Ovviamente Trump non è Hitler, ma anch'egli è avversato dal Pontefice in carica siccome «pensa solo a costruire muri» (dichiarazione di febbraio sul volo di ritorno dal Messico). Resto in attesa di dichiarazioni altrettanto antipatizzanti sull'abortista, divorzista, omosessualista Hillary Clinton, la candidata finanziata dall'Arabia Saudita che finanzia il terrorismo islamico, ma non è questo l'argomento di oggi.

Di attualità è la rinuncia di Bergoglio a utilizzare il palazzo pontificio di Castel Gandolfo (con 55 ettari di parco e magnifica vista sul lago di Albano) per le proprie vacanze. In verità questo Papa non aveva mai villeggiato nella località dei Castelli Romani cara a molti suoi predecessori: ma adesso è ufficiale e l'appartamento papale sarà museificato e aperto ai turisti. Dunque, in caso di visita romana di Trump, non gli rimarrà che trincerarsi a Santa Marta, l'albergo vaticano che ha scelto come residenza al posto del palazzo apostolico, altra rinuncia al fasto del passato.

Chiaramente anche stavolta c'è aria di simbolismo francescano per non dire pauperista: il Papa abdica a un altro dei suoi presunti o reali privilegi manifestandosi prossimo alle persone comuni. Purtroppo il gesto rischia di essere ininfluente se non perfino controproducente, per almeno due ragioni. Perché Santa Marta non è una catapecchia e anche il Vaticano vanta bellissimi giardini: trascorrere qualche giorno di riposo all'interno delle mura leonine non è come farlo a Tor Bella Monaca o altro quartiere di quelli abitati dalle persone comuni davvero, le famose pecore il cui odore dovrebbe impregnare l'abito dei pastori (secondo l'omelia del Giovedì Santo 2013). La strada della frugalità non si sa dove va a finire. Il Papa non sarà mai abbastanza povero per i suoi detrattori, potrebbe adattarsi a vivere in una tenda e gli verrebbe rinfacciato il lusso del materasso: ma come, San Francesco non dormiva sulla nuda terra?

Seconda ragione: l'abbandono di Castel Gandolfo lascia orfani i castellani (così si chiamano gli abitanti dell'ameno paese). In particolare i commercianti, i ristoratori e gli albergatori che facevano il pieno al tempo delle udienze estive. E con loro i cuochi, i camerieri, le donne delle pulizie, le commesse, gli autisti, tutti coloro che vivevano di indotto papale. Un palazzo pontificio ridotto a vuoto museo quanti visitatori può attrarre? È pensabile che i turisti si spostino da una Roma pullulante di meraviglie per vedere due arazzi della manifattura di Gobelin, la scrivania di Pio VII e la copia della bolla del concordato di Fontainebleau? Ma andiamo!

È proprio il cristianesimo, fondato su Dio incarnato, a insegnarci l'importanza della realtà materiale: un cristiano non si accontenta di un museo, cerca un incontro vero. I Papi lussuosisti che villeggiavano a Castel Gandolfo erano fisicamente più vicini al popolo del Papa pauperista che risiede a Santa Marta, la finestra di Piazza San Pietro è molto più alta del balconcino dei Castelli dal quale il gesto di benedizione risultava molto più visibile.

L'intera faccenda mi sembra un perfetto caso di eterogenesi dei fini, il principio filosofico che spiega come mai le strade dell'inferno siano così spesso lastricate di buone intenzioni. Sono certo delle buone intenzioni del Santo Padre: meno certo dei risultati.

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