Lungo questi giorni si sprecano parole che, mentre riconoscono, smentiscono. Di conseguenza il pensiero si smarrisce e il cittadino consapevole, forte di un diritto che lo supera perché appartiene alla Societas, ritiene necessario fare il punto della situazione.
Il dato incontrovertibile è che non servono “più soldi” alle scuole paritarie e che stiamo ancora una volta sbagliando il bersaglio. Come si spiega, visto che si rilevano ringraziamenti, mentre si innesca una guerra tra poveri, cioè fra la buona scuola pubblica paritaria e la buona scuola pubblica statale?
Eppure venerdì 18, nella conferenza stampa tenuta a Palazzo Chigi per presentare il bilancio dei mille giorni dell'esecutivo, il premier ha affermato: "Ho tanti rimpianti, uno è la scuola” e “A differenza dei governi precedenti, abbiamo messo tre miliardi nella scuola. Nonostante questo siamo riusciti a fare arrabbiare tutti. Bisogna essere bravi per riuscirci. Evidentemente qualcosa non ha funzionato".
Ma è fondamentale dirsi la verità, perché i cittadini sono molto più intelligenti di quello che pensa chi intenda manipolarli.
Traduciamo in numeri le parole di questi giorni. Leggiamo su TuttoScuola e svariate testate giornalistiche: "Il governo con la legge di Bilancio continua a dimostrare nei fatti che crede nella scuola paritaria, parte del sistema d'istruzione nazionale. Intende proseguire un lavoro iniziato tre anni fa". Lo ha affermato il sottosegretario al Miur intervenuto lungo questi giorni e sintetizzando i vari passi compiuti in una nota del 29 novembre con una novità interessante ma ancora da capire nella sua attuazione pratica "la possibilità per le scuole paritarie di partecipare ai bandi Pon, i fondi europei per l’istruzione".
Questo sì che sembra un passo in avanti significativo che va nella direzione di porre lo studente al centro. Restiamo sui numeri e su ciò che conosciamo ad oggi. Vediamo, numeri alla mano, che cosa è successo in questi tre anni dove più volte è stato dichiarato che “si è investito per un effettivo riconoscimento della dignità di scuola pubblica che gli istituti paritari hanno, nominalmente sin dalla legge n. 62 del 2000, alla quale si inizia a dare concreta attuazione”.
Ci si ritrova nella realtà di una flessione che parte dal 2012-13, quando gli alunni delle scuole paritarie, dall’infanzia alle superiori, in Italia erano più di un milione (esattamente 1.036.312). L’anno dopo erano scesi sotto il milione (993.544), con una flessione superiore al 4%, e nel 2014-15 avevano fatto registrare un ulteriore 3,3% di decremento. Nel medesimo periodo l’incidenza della popolazione scolastica delle scuole paritarie rispetto alla totalità della popolazione scolastica nazionale tendeva a diminuire. Nel 2012-13 gli alunni di scuole paritarie erano complessivamente l’11,7% dell’intera popolazione scolastica, nel 2013-14 la loro incidenza era scesa all’11,3% e l’anno dopo al 10,9%. E il trend continua. Aumenta evidentemente il numero delle famiglie che non possono permettersi rette ulteriori. Il decremento maggiore si è avuto nella secondaria (-11% nel I grado e -15,4% nelle superiori), dove i costi di frequenza sono normalmente maggiori.
A febbraio 2014 pareva imminente la Rinascita dell’Italia, che finalmente avrebbe posto al centro lo studente garantendo la libertà di scelta educativa, in un pluralismo fatto di buone scuole pubbliche (statali e paritarie). Ma qualcosa non ha funzionato, come ha detto il premier durante la trasmissione Otto e mezzo di Lilly Gruber: "Siamo riusciti a far arrabbiare tutti. Ci vuole un talento particolare...". In realtà di questi talenti non sappiamo cosa farcene.
Ma ciò che non ha funzionato è stato quello di dichiarare e dunque agire in questi termini “Il governo crede nella scuola paritaria”. Eh no, a nessuno serve un governo che crede nella scuola paritaria ma che creda nei suoi cittadini, che li liberi dalle briglie di uno Stato Gestore; quest’ultimo divenga Stato Garante della libertà di scelta educativa.
La diminuzione degli allievi della scuola paritaria comporta un aumento della spesa del Welfare per la scuola pubblica statale. L’emigrazione di allievi dalla scuola paritaria, complice la crisi, rappresenta un aumento annuo di spesa dello Stato per allievo di scuola pubblica statale, che passa da 56.648 milioni di euro del 2009 a 49.776 milioni di euro nel 2013 quando gli alunni della scuola paritaria erano pari a 1.036.403 e risale in modo direttamente proporzionale all’emigrazione di allievi dalla scuola paritaria alla scuola statale, giungendo a 55.536 milioni di euro nel 2015. Curioso? Niente affatto, occorre dire matematico.
Come farà mai il Welfare a sostenere una spesa così alta in una situazione di debito pubblico composto per lo più da interessi passivi sul debito stesso?
Si metta a confronto, da un lato la proposta del “costo standard di sostenibilità per alunno” che, come ampiamente dimostrato, migliora tutto il comparto scuola - pubblica statale e pubblica paritaria - a costo zero, dall’altro l’immissione in ruolo di 100 mila docenti, con le relative cattedre vuote e i milioni di euro in più. Parlino i numeri.
D’altronde le leve di trasparenza e di buona organizzazione; l’autonomia scolastica e la valutazione dei dirigenti e dei docenti; la detraibilità delle spese scolastiche e gli investimenti school bonus, che il d.d.l. Scuola, dal 9 luglio 2015, legge 107 “Riforma del Sistema Nazionale di istruzione e formazione” ha introdotto, vanno verso questa prospettiva. Introdurre il costo standard per studente significa accompagnare le scuole verso la riqualificazione delle risorse e l’acquisizione di competenze di riorganizzazione amministrativa prima e gestionale poi, per rendere sostenibile la buona scuola di qualità ma senza sprechi.
La spesa complessiva - per tutti gli 8.908.102 studenti italiani (che – nel 2009 e per derivazione oggi - frequentano la scuola paritaria e la scuola statale) - che lo Stato sosterrebbe si assesterebbe intorno a € 50.457.880.679,29, inferiore alla spesa che oggi sostiene pari a € 55.169.000.000,00. Si può garantire il diritto di tutti gli studenti a costo zero, anzi risparmiando, eppure si preferisce spendere di più e restare in un sistema scolastico a grave rischio di default progressivo.
La Legge di stabilità 2017 che molti hanno titolato Più soldi alle Paritarie in realtà sembra ancora una volta non porre al centro lo studente perché non guarda a tutto il Comparto Scuola.
Vediamo in pratica: il costo nel 2016 aumenta a € 56.133.672.785 (56 miliardi, 133 milioni e 672 mila 785 euro) di spesa dello Stato, cioè di tasse dei cittadini per gli allievi che frequenta la scuola pubblica statale, a fronte di € 547.200.000 (547 milioni e 200 mila euro) per gli allievi che scelgono la scuola pubblica paritaria.
Praticamente si continuerà a spendere di più e male. Che si spenda di più è chiaro. Ma perché male? Con ordine: 1) solo in Italia lo studente non può scegliere fra una Buona Scuola Pubblica Statale e Paritaria senza pagare due volte avendo già pagato le tasse; 2) lo Stato utilizza la famiglia e la scuola Pubblica paritaria come un finanziatore di prim’ordine; 3) i docenti non possono scegliere se insegnare, a parità di titoli e di effetto di tali titoli (gli alunni diplomati), fra una buona scuola pubblica statale e paritaria; non solo: ai docenti abilitati delle paritarie è negato il bonus di 500 euro per l’aggiornamento, mentre viene concesso a tutti i diciottenni per andare al cinema; 4) l’Italia viola da anni l’art. 26 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo “I genitori hanno diritto di priorità nella scelta di istruzione da impartire ai loro figli”; ma nessuno ne parla.
Sulle violazioni dei diritti la democrazia scricchiola.
Ben diceva Luigi Sturzo: "Finché gli italiani non vinceranno la battaglia delle libertà scolastiche in tutti i gradi e in tutte le forme, resteranno sempre servi (…) di tutti perché non avranno respirato la vera libertà che fa padroni di se stessi e rispettosi e tolleranti degli altri, fin dai banchi della scuola, di una scuola veramente libera".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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