Il ministero della Salute non molla: il “piano segreto” resta un segreto. O meglio un mistero. Nel senso che sebbene tutti sappiano che un piano anti-Covid esista eccome, tenuto riservato ed approvato formalmente dal Cts, il dicastero guidato da Speranza continua a nascondersi dietro il dito di Stefano Merler. Trascinato in tribunale di fronte al Tar, il ministero non solo si è opposto alla richiesta di pubblicare l’atto, ma afferma addirittura di non aver mai avuto tra le mani quel documento.
Come rivelato in esclusiva dal Giornale.it, il prossimo 22 dicembre il ministero è chiamato a comparire di fronte alla Sezione III quater del Tribunale amministrativo del Lazio per discutere il ricorso presentato da Galeazzo Bignami e Marcello Gemmato. I deputati di FdI, che avevano presentato un accesso agli atti rimasto senza risposta, chiedono ai giudici di decretare “l’illegittimità del silenzio serbato” e di condannare viale Lungotevere Ripa 1 a pubblicare quel “piano segreto” tanto discusso. Il ministero, dal canto suo, è intenzionato a “resistere al ricorso”. Lo dimostra la memoria difensiva depositata ieri dall’avvocatura generale dello Stato, che difende il dicastero di Speranza. Un documento di quattro pagine dai toni piuttosto accessi e che faranno sicuramente ravvivare la fiamma delle polemiche.
Il ricorso degli onorevoli FdI partiva dall’intervista rilasciata da Andrea Urbani ad aprile, quando il direttore generale della Programmazione sanitaria affermò al Corriere che “già dal 20 gennaio avevamo pronto un piano secretato e quel piano abbiamo seguito” per combattere la prima ondata. Se lo dice un suo direttore generale, perché il dicastero non rende noto il documento? Per il ministero l’intero caso sarebbe il frutto di “erronee interpretazioni delle dichiarazioni rese” da Urbani. “Detto documento - si legge nella memoria - non è un Piano pandemico approvato con atto formale dal ministero della salute, né un atto elaborato da una P.A., né è detenuto dal ministero”. L’avvocatura sostiene che “il documento di cui i ricorrenti hanno chiesto l’ostensione” è “un testo elaborato e proposto dalla Fondazione Bruno Kessler di Trento” che all’interno conterrebbe il famoso “Piano nazionale di emergenza coronavirus”. Viale Lungotevere Ripa ammette che il 12 febbraio è “venuto a conoscenza” dello studio di Merler, ma nega che fosse “ad esso diretto” o che lo abbia “acquisito”. Ad averlo sarebbe il Cts, che è parte della Presidenza del Consiglio dei ministri. Il Comitato, scrive l’avvocatura, “ha acquisito i dati relativi” alla ricerca “unitamente ad altri atti istruttori e contributi scientifici”: sarebbe insomma solo “uno degli elementi, insieme a numerose altre fonti, su cui il Comitato ha elaborato le proprie posizioni e assunto in autonomia le proprie decisioni”. Dunque, se Bignami e Gemmato vogliono lo studio di Merler, non devono domandarlo al ministero della Salute ma a Miozzo&co., che peraltro lo hanno già fornito ai cronisti che ad agosto avevano ne avevano fatto richiesta.
Primo appunto: almeno 8 membri del Cts su 26 provengono dal ministero della Salute, tra cui vertici di diversi Uffici. In pratica il dicastero scarica la palla su un altro ente statale, composto in buona parte dai suoi stessi esponenti. Curioso, no? In realtà qui il problema è che i due deputati FdI, e non pochi cittadini, dello studio di Merler non se ne fanno nulla. Quello è noto. Non è la prima volta che il ministero e Speranza smentiscono l’esistenza di un documento differente dalla ricerca della Fondazione Kessler. Ma come rivelato nel “Libro nero del coronavirus” (leggi qui) e confermato al Giornale.it da una fonte vicina al dossier, i due documenti sono diversi. Quello che Merler presentò il 12 febbraio al Cts era, infatti, una relazione composta sostanzialmente da proiezioni e studi matematici. Si fermava lì e non dava indicazioni. Niente a che fare, quindi, con le linee guida e gli scenari che verranno poi inseriti nel piano elaborato interno al Comitato tecnico scientifico e presentato come bozza al ministro Speranza già il 20 febbraio.
È possibile che Urbani abbia confuso le date? E che volesse dire “20 febbraio” invece di “20 gennaio”? Non è da escludere. Ma non cambia la sostanza. Resta il fatto che un “piano” l’amministrazione statale l’ha prodotto eccome. Ascoltata la relazione di Merler, infatti, il 12 febbraio il Cts dà mandato a un gruppo di lavoro interno di “produrre, entro una settimana, una prima ipotesi di Piano operativo di preparazione e risposta a diversi scenari di possibile sviluppo di un’epidemia da 2019-nCov”. Le parole sono importanti. Si tratta di un “Piano operativo”, e non di una banale analisi come verrà poi derubricato. Quello che ne esce fuori (oltre due settimane dopo l'analisi di Merler) è infatti un lavoro molto più complesso di uno “studio”. Il “Piano” venne approvato dal Cts il 2 marzo “nella sua versione ufficiale”, sottoscritto “da tutti coloro che hanno contribuito” e infine “presentato all’on. ministro Speranza” tramite Angelo Borrelli. Come è possibile che il ministero dica di non aver mai visto alcun “Piano”? E ancora: nel verbale del 4 marzo, il Comitato scrive testualmente che il “Piano” è stato “redatto dall’Iss d’intesa con il ministero della Salute e l’ospedale Spallanzani”. Se è stato realizzato “d’intesa col ministero”, come può il ministero stesso affermare di non averlo mai detenuto?
“La costituzione in giudizio del ministero contiene affermazioni gravissime - attacca Bignami, sentito dal Giornale.
it - Al di là del fatto che come al solito si incolpano i giornalisti di non aver capito nulla, in realtà ci viene detto che l’Italia non aveva un Piano al momento dello scoppio della pandemia, smentendo il ministro Speranza che a questo punto deve rispondere quantomeno alle interrogazioni parlamentari che da un mese gli abbiamo presentato. Ci sono troppo contraddizioni in questa vicenda e credo che l’unico modo per fare chiarezza sia andare in Tribunale. Ma questa volta si va in Procura, perché o c’è malafede o c’è incompetenza”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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