Prima, come un pollo, si è fatto cucinare a fuoco lento da Matteo Salvini che, ovviamente, non ha mai avuto intenzione di andare a fare la sua stampella mollando il centrodestra. Poi è caduto mani e piedi nel trappolone che gli ha teso il Pd, abboccando come un pesce all'amo teso di un possibile «contratto di governo». E ora, rimasto a bocca asciutta, piange e si dispera come un bambino a cui i genitori, secondo lui cattivi, hanno tolto di mano il giocattolo. Questo è Luigi Di Maio, il grande sconfitto del dopo elezioni. Sono bastati sessanta giorni per misurarne le capacità e il risultato è un disastro.
In queste ore di disperazione per aver perso Palazzo Chigi, Di Maio parla di «traditori» e di «complotto», riferendosi alla legge elettorale e ai mancati accordi a destra e sinistra. È vero che la legge elettorale è una schifezza, ma è la stessa per tutti e non è piovuta in busta chiusa da Marte, bensì è stata (purtroppo) approvata dal Parlamento, che è luogo poco frequentabile per tanti versi, ma comunque di democrazia. In quanto alle mancate alleanze, non si capisce dove starebbe il «tradimento». Semmai Salvini e Renzi sono stati più furbi di lui: non ci vuole molto, ma è altra cosa.
Del resto, per vincere la sua scommessa, a Di Maio sarebbe bastato non mettere veti in casa d'altri e cestinare la buffonata del «contratto». I «contratti» si stipulano tra privati, in politica esistono alleanze politiche e programmatiche tra pari che presumono un accordo e la divisione, proporzionale alla forza di ognuno, di oneri e onori (questi ultimi intesi come poltrone, seggiole e sgabelli).
Di Maio voleva la botte piena e la moglie ubriaca, situazione interessante ma irrealizzabile. Ha preso il gol decisivo, dal Pd, allo scadere e ora, manco fosse Buffon, dice che gli avversari non hanno cuore e che la partita va rigiocata. O si torna a votare subito - come e quando lo decide lui - o porta via il pallone.
È proprio vero che i fessi sono tali perché non fanno tesoro delle esperienze. Di Maio è stato sì tradito, ma solo dalla sua arroganza e dalla sua inesperienza. Anche perché nessuno, ma proprio nessuno, gli ha mai giurato fedeltà.
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