Una panchina di marmo ed una fontana. E' tutto quello che è rimasto ad Antonio Supino, 56enne abitante di Mirandola, il paese nel cuore dell'Emilia Romagna che ha dato i natali al famoso filosofo Giovanni Pico della Mirandola. E' diventato il simbolo della differenza di trattamento tra gli immigrati ospitati nelle case e gli italiani lasciati vivere all'aperto. Abbandonati a se stessi.
Dopo i due terremoti del 20 e 29 maggio del 2012, Antonio come tanti altri terremotati emiliani, è rimasto senza casa. L'appartamento dove abitava in affitto necessitava di essere puntellato, così per lui si sono aperte le porte dei moduli abitativi provvisori. I container che ancora oggi, a 3 anni dal sisma, sono la casa degli sfortunati impossibilitati a rientrare nelle loro abitazioni.
I governatori dell'Emilia Romagna, Vasco Errani è prima e Stefano Bonacini poi, lo avevano garantito: entro il 2015 tutti i container saranno rimossi. Ed è quello che si sta cercando di fare, anche se con enormi ritardi. Almeno fino al 2018, infatti, i nuovi "quartieri" fatti di prefabbricati e situati alle porte del paese continueranno ad essere agibili. Ma non del tutto. Uno dei pochi ad essere costretto a lasciarlo è stato Antonio, che ora deve dormire nei giardini, lavarsi alla fontana e mangiare "solo una volta alla settimana". "Il comune non mi ha dato alcun aiuto - dice a ilGiornale.it - mi passano qualche volta il cibo, ma io abitando nel parco non riesco a cucinarlo: dove trovo i fornelli?" (guarda qui il video).
I problemi per Antonio non si fermano qui. "Ho diverse malattie, devo operarmi alla schiena e questi mi fanno dormire per terra". Un topo, solo qualche giorno fa, lo ha morso su un braccio. Segno del degrado e della poca igiene in cui è costretto a vivere. Detiene ormai il record di registrazioni all'ospedale, eppure per lui pare non esserci alcuna soluzione.
Il 23 aprile il comune di Mirandola ha deciso di sfrattarlo dal suo Map (Modulo Abitativo Provvisorio). E lo ha lasciato per strada. Dal municipio assicurano che l'uomo non ne ha più diritto, in quanto potrebbe tornare ad abitare nella casa in cui era in affitto prima del terremoto. Purtroppo Antonio è nullatenente e la famiglia si è trasferita in Polonia per assicurare almeno ai bambini un pasto caldo al giorno. E' solo e non può più fare il suo lavoro: "Ero il miglior operaio di Mirandola - afferma con un certo orgoglio - ma con i problemi fisici che ho adesso mi è impossibile lavorare". Il sindaco gli ha proposto di andare in una comunità di Bologna, ma lui "in mezzo ai drogati" non vuole andarci: "Sennò faccio una brutta fine - dice - Chiedo solo di rimanere qui e di avere un lavoro che io possa fare. Vorrei anche una casa: mi hanno buttato fuori dal Map senza pensare a dove sarei andato".
E la rabbia diventa protesta quando gli si fa notare che lo Stato assicura 35 euro al giorno per la gestione degli immigrati e nulla fa per un povero terremotato come lui. "Non si può continuare a vivere così: qui nessun extracomunitario lavora eppure stanno bene. E io che ho pagato 28 anni di contributi e 28 anni di tasse devo stare in mezzo ai giardini a dormire? A me non mi va bene questa cosa qui".
Per questo a fine giugno era pronto a darsi fuoco. Deciso a trovare la morte per aprire gli occhi ad uno Stato impegnato ad accogliere chi è lontano ed incapace di vedere i bisogni degli italiani. Si è presentato in Municipio per chiedere aiuto. "Ho detto ad un funzionario del comune: o mi aiutate o la faccio finita qui. E' tornato con i vigili e la polizia e mi hanno liquidato dicendo 'puoi andar via'.
Io invece mi sono buttato la benzina addosso e stavo per darmi fuoco".Non è bastato. Nel modenese continuano ad arrivare profughi, cui vengono assicurati due pasti al giorno e un tetto sotto cui dormire. Antonio, invece, deve accontentarsi di una panchina. Di marmo.
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