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La prova della truffa

Così i risparmiatori vengono fregati

La prova della truffa

Il presidente Lorenzo Rosi, il vicepresidente Alfredo Berni, il vicepresidente Pier Luigi Boschi e il consiglio di amministrazione di Banca Etruria sono sotto inchiesta, da parte della procura della Repubblica di Arezzo, per bancarotta fraudolenta perché hanno dato un milione e 200mila euro di buona uscita al direttore generale Luca Bronchi, con la delibera del 30 giugno 2014 con cui questi veniva licenziato prima del termine del suo contratto in quanto la banca si trovava in una situazione gravemente deteriorata ed occorreva una nuova gestione. In tali casi non tocca all'alto dirigente una buona uscita, ma si discute se gli si debbano contestare responsabilità specifiche e fare al riguardo accertamenti. Questo è ciò che prescrive la prassi e che si legge nel rapporto che la Banca di Italia, che ha portato al suo commissariamento da parte del ministero dell'Economia su proposta della medesima. Come rileva la Relazione di allora della Banca di Italia, le regole di Banca Etruria vigenti nel luglio del 2008 quando Bronchi era stato assunto e quando nell'estate del 2014 era stato licenziato, prevedevano che in caso di risoluzione anticipata del rapporto di lavoro, l'eventuale bonus fosse commisurato alla sua performance e ai rischi da lui assunti. Questi 1,2 milioni di euro non dovuti non sono una grossa percentuale nella bancarotta di Banca Etruria, che secondo il liquidatore del fallimento è di 1,1 miliardi. Ma il fatto che il presidente e i due vicepresidenti e il resto del consiglio di amministrazione - tranne il consigliere Giovanni Grazzini, astenuto - abbiano approvato il ricco bonus senza indagare sulla gestione segnala che si voleva stendere un velo pietoso sulle ragioni del dissesto che aveva costretto a un ricambio di direttore generale e che stava per portare al commissariamento.Ne consegue che gli azionisti e i titolari di obbligazioni subordinati della banca che sono ora con un pugno di carta straccia sono stati ingannati e molto probabilmente truffati. Non hanno corso un rischio di cui erano o potevano esser consapevoli. La verità è stata scientemente occultata. Eppure essi non possono inserirsi nel fallimento per far valere le loro ragioni, perché il decreto del governo sul salvataggio di questa banca e di altre tre minori lo impedisce. Il decreto ha salvato il personale e i depositanti ed ha fatto pagare il conto agli azionisti e ai titolari di obbligazioni subordinati, violando le norme costituzionali sulla tutela del risparmio in tutte le sue forme. Esso non ha previsto un risarcimento per questa lesione illecita di diritti dei risparmiatori. Gli azionisti e obbligazionisti subordinati, con il decreto governativo, vengono indennizzati solo per motivazioni sociali, quando non abbiano redditi elevati cioè in virtù di un presunto atto umanitario. La nuova Banca Etruria, però ha ora un valido motivo oggettivo per riparare a ciò: risarcire chi non viene indennizzato dallo Stato, onde smacchiare il nome che essa porta da una cattiva reputazione attribuibile alla passata gestione. Certamente, fatto che ora emerge, con l'indagine per bancarotta fraudolenta che sta facendo la Guardia di finanza, su ordine della Procura della Repubblica aretina, anche su altri episodi oltre a questo bonus, indica che ci può esser molto più marcio nella gestione passata della banca, di quello qui accertato.

Ma già ora ce ne è abbastanza per porre il quesito: «Perché i vertici della banca hanno tollerato quel marciume? Perché il governo quando - il 18 dicembre del 2015 - ha varato il decreto legge per Banca Etruria e le altre banche minori, non ha tenuto conto di tutto ciò che già allora si sapeva sulla probabilità di una truffa per i risparmiatori? Il danno che è stato fatto è enorme non solo per questa banca, ma soprattutto per la reputazione del nostro sistema bancario dando all'opinione pubblica una cattiva sensazione, su cui gli ambienti finanziari internazionali hanno inzuppato il loro pane.Francesco Forte

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