Quei salotti buoni sporchi di sangue

Molti dei firmatari degli appelli pro Battisti sono gli stessi che oggi danno la caccia alle scritte fasciste sui monumenti ma che sugli anni di piombo vogliono «chiuderla lì» nonostante i quattrocento morti ammazzati

Quei salotti buoni sporchi di sangue

Cesare Battisti, latitante in Brasile e in attesa di estradizione, non è soltanto un pluriassassino evaso dalle carceri italiane nel 1981 con due ergastoli sulle spalle. Battisti è innanzitutto la bandiera degli irriducibili di una stagione mostruosa, quella del terrorismo politico che insanguinò l'Italia negli anni Settanta e Ottanta. Non solo dei compagni d'armi che - chi più chi meno - il loro conto con la giustizia l'hanno in qualche modo pagato. Battisti - che più che un terrorista fu un delinquente - è soprattutto la bandiera degli intellettuali, giornalisti e politici nostalgici di quel folle sogno rivoluzionario nonostante si siano poi tutti ben piazzati nelle democrazie, nei consigli di amministrazione e nei salotti che all'epoca si proponevano di abbattere a suon di parole e proiettili.

Molti dei firmatari degli appelli pro Battisti (c'è anche Saviano, poi pentito, e l'immancabile Vauro) sono gli stessi che oggi danno la caccia alle scritte fasciste sui monumenti ma che sugli anni di piombo vogliono «chiuderla lì» nonostante i quattrocento morti ammazzati (quattro dei quali, come detto, dall'amico Battisti). Prima si sono nascosti sotto l'ala protettiva in tutti i sensi - fisico, culturale e politico - della «dottrina Mitterrand», cioè l'asilo che la Francia socialista ha riconosciuto ai criminali politici fino all'inizio degli anni Duemila. Poi, persa la protezione, sono passati alla mutua assistenza e alla pretesa dell'oblio: dimenticateci, o meglio dimenticate il sangue innocente che noi e le nostre teorie hanno sparso a piene mani.

Riportare - ma meglio sarebbe dire finalmente portare - Battisti in carcere significa ricordare e certificare che stiamo parlando di associazioni a delinquere, di spietati assassini e non di eroi o martiri del proletariato, tantomeno di intellettuali perseguitati.

Per questo l'Italia non può perdere l'occasione di fare estradare Battisti. Si parla di lui, ma quella condanna va eseguita per inchiodare alle sue responsabilità tutto il mondo, oggi dorato, che in questi anni lo ha protetto, aiutato e purtroppo addirittura esaltato.

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