La cambiale. Molti giovani non sanno neppure che cosa sia, ma lo scopriranno presto se la crisi continuerà ad avanzare. I segnali di un ritorno prepotente di questo strumento del credito non mancano. Dalla Riviera romagnola giunge la notizia che nei primi mesi dell’anno in corso, rispetto allo stesso periodo del 2012, la circolazione dei cosiddetti pagherò ha avuto un incremento del 10 per cento. Nel Paese, dal 2009 a oggi, si registra addirittura un aumento del 40 per cento delle «farfalle», come le cambiali erano definite negli anni Cinquanta, quando il popolo ne faceva largo uso per acquistare a rate ciò che non poteva permettersi di saldare subito per mancanza di liquidi.
Gli italiani erano appena usciti dalla guerra mondiale, il livello della disoccupazione era altissimo, le ferrovie erano a pezzi e si viaggiava spesso su vagoni merci; i bombardamenti avevano distrutto case e stabilimenti: urgeva ricostruire. Nonostante il disastro, tuttavia, la gente, riassaporato il piacere della pace e della libertà, era animata da un grande ottimismo, addirittura euforica, vogliosa di vivere. Aveva fiducia nel futuro e nessuna paura dei debiti; si lanciava negli acquisti anche se non aveva in tasca una lira. Fu il trionfo delle cambiali. Ne firmavi un pacco e finalmente ti motorizzavi. Il sogno era la Vespa o la Lambretta, scooter a cui qualcuno con famiglia numerosa agganciava il sidecar.
Chi aveva uno stipendio non esitava a impegnarne una parte, per molti mesi, allo scopo di partecipare alla festa del consumismo secondo uno stile di importazione americana, ma reinterpretato su scala minima, commisurata alle nostre scarse possibilità. E giù cambiali a raffica: per sostituire la vecchia ghiacciaia di zinco col frigorifero, per regalarsi il televisore e ammirare i protagonisti di Lascia o raddoppia?
(programma cult di Mike Bongiorno), per comprare lo scaldabagno elettrico e rottamare quello a legna. Perfino i vestiti erano accessibili a chi non aveva contanti a sufficienza. Bastava recarsi alla Confital, agenzia che in cambio di «farfalle» ti consegnava dei buoni da spendere in negozi convenzionati di confezioni, tessuti e scarpe. Inutile dire che i sarti dell’epoca accettavano i pagherò. L’economia nazionale si resse per alcuni lustri su montagne di cambiali, pezzi di carta sui quali era scritto che il signor Rossi, alla data fissata, sarebbe andato in banca a ritirarli, ovviamente versando il dovuto. Guai a non onorare l’impegno. La persona che non fosse stata in grado di farlo, avrebbe perso la faccia: il suo nome veniva pubblicato sul bollettino dei protesti curatodalla Camera di commercio, una specie di lista di proscrizione che ogni venditore compulsava per sapere quali fossero i clienti dai quali stare alla larga. Un protestato era come un reietto.
In quegli anni ruggenti era motivo di vanto essere puntuali nel ripianare i debiti, una medaglia col valore di una garanzia di solvibilità buona per ottenere altro credito. Il consumismo galoppò e aprì la strada al boom che coincise con l’avvento della Fiat 600, l’utilitaria per eccellenza, alla portata della piccola borghesia. Costava 640mila lire, circa otto stipendi di un bancario. Inutile sottolineare che 9 vetturette su 10 venivano ritirate in concessionaria previa apposizione di 24 firme su altrettanti pagherò. A chi sgarrava, la macchina era confiscata.
Con laFiat 600 l’Italia decollò. Divenne un Paese moderno o almeno si avviò a esserlo. Chi riuscisse ad assicurarsi la mitica utilitaria, «farfalle» o no, si considerava ed era considerato un uomo arrivato. Il progresso era praticamente una religione. La gente amava tutto ciò che era nuovo e si sbarazzava con sollievo degli oggetti del passato, che rammentavano e simboleggiavano la detestata civiltà contadina. Le cucine tradizionali, con tanto di credenze, cassettoni della legna e tavoli ottocenteschi furono ridotti in tocchi e rimpiazzati da mobiletti di metallo, laccati di bianco secondo la moda statunitense e completati da ripiani di orrenda formica, molto amata dalle signore il cui gusto era educato (o maleducato) dagli spot di Carosello .
Quegli anni furono caratterizzati da una smania collettiva: non solo occorreva attrezzarsi in modo compulsivo di elettrodomestici (lavatrici, lucidatrici, aspirapolveri, frullatori eccetera), ma anche eliminare qualsiasi arredo della nonna rievocativo di tempi duri, fatiche, fame, cappotti rivoltati, patimenti. Nella foga di ripulire le case da qualsiasi anticaglia, gli italiani svuotarono anche la memoria e gettarono nella pattumiera pure le sane abitudini ereditate dagli avi: il decoro, le buone maniere. Quasi una ribellione; si cominciò a parlare di gioventù bruciata, e non si smise più di dire: chissà dove andremo a finire.
Ed eccoci qua a rimpiangere non tanto le cambiali, che comunque ci travolgeranno a breve perché non ci sono più euro, quanto lo spirito che risollevò l’Italia dalle rovine belliche.
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