L a nebbia di ottobre avvolge San Marino, e sembra pervadere anche la sala da convegni dove si è spostato il tribunale per il processo del secolo, la Tangentopoli del Titano. Perché mentre il giudice Gilberto Felici (commissario della legge, lo chiamano qui) si appresta a dipanare questa complicata storia di politica e quattrini, la nebbia continua ad avvolgere lo scenario in cui è stato possibile che un'intera classe politica venisse trascinata prima in galera e poi a processo mentre a comandare restavano sempre gli stessi partiti e le stesse lobby che da decenni qui fanno il bello e il cattivo tempo. Ovvero la Democrazia Cristiana sammarinese, l'unica Dc del mondo ancora viva, nelle sue molteplici fazioni, diramazioni e veleni: che nel processo iniziato ieri ai suoi vecchi leader ha chiesto di costituirsi parte civile mentre (sostengono con qualche costrutto gli avvocati delle difese) dovrebbe semmai stare sul banco degli imputati.
Ai piedi della Rocca c'è il convento dei cappuccini, e un'ala del convento ospita il piccolo carcere della Repubblica. Un carcere orrendo e invivibile, dice la Corte europea dei diritti dell'uomo. In una delle otto celle oggi c'è Gabriele Gatti, che fino all'altro giorno era uno degli uomini più potenti di San Marino, prima andreottiano di ferro, poi prodiano di ferro, che forse la disgrazia dei suoi antichi amici aveva aiutato ad emergere.
Nello stesso carcere, forse nella stessa cella senza bagno, c'era stato prima di lui Claudio Podeschi, altro uomo forte della Dc, che si è fatto 14 mesi di galera di cui 10 in isolamento senza dire al giudice Alberto Buriani, il Di Pietro locale, niente di quello che il giudice voleva sentire: e sarebbe dentro ancora adesso se non lo avesse tirato fuori Strasburgo. Ma nel piccolo carcere c'era stato, assai più brevemente, un personaggio che incombe anche sui fatti di oggi: Luciano La Pietra, autista di Romano Prodi, gravato da orrende accuse di pedofilia, che nonostante la corporatura massiccia fuggì da una finestrella del carcere. Il turno delle guardie era stato cambiato, e a San Marino si sussurra che sul conto di uno dei secondini di quella notte piovvero poi contanti in quantità. Il pedofilo morì poco dopo l'evasione, stroncato da una malattia tanto incurabile che provvidenziale, portandosi dietro i suoi segreti. Ma la sua ombra si allunga sul processo iniziato ieri. Perché Gatti, che sembrava destinato a farla franca, viene arrestato dal giudice Alberto Buriani che lo accusa di avere sparso veleni sulla magistratura, cioè su lui Buriani medesimo. E i veleni, guarda un po', riguardano la vecchia inchiesta sull'evasione di La Pietra, e su come il giudice fosse solito ammorbidirsi ogni qual volta gli si faceva il nome di Prodi. Nome che da sempre aleggia su queste alture, dove era di casa per un certo periodo anche Scaramella, l'ambiguo supertestimone del caso Telekom Serbia; e in una delle tante banche del Titano si sarebbe inabissata parte di quella tangente.
A San Marino la legge funziona in modo che ai difensori che arrivano qui dall'Italia riesce a fare rimpiangere il nostro codice. Le inchieste le fanno i giudici inquirenti, che possono arrestare di loro iniziativa, e tenere in carcere gli imputati secretando le prove d'accusa. Fu così per Podeschi e gli altri della vecchia guardia Dc, e adesso è così per Gatti. Si sa che è stato arrestato (arresto curiosamente preannunciato da un youtuber locale pochi giorni prima), che è accusato anche di corruzione, e le agenzie di stampa ipotizzano che abbia messo via una ottantina di milioni (ieri hanno posto sotto sequestro una polizza assicurativa da oltre un milione e 100mila euro a lui riconducibile), ma che ruolo gli venga attribuito nei veleni a carico dei giudici per adesso non si sa. Ma lungo le scoscese strade del Titano è già partito il toto-confessione: quanto durerà Gatti nella cella senza cesso prima di cantare? Nel processo che si è aperto ieri ai 21 imputati - di cui sette o otto del Gotha della Dc sammarinese - si contestano riciclaggi per cifre astronomiche, rimbalzati su conti e libretti dai nomi fantasiosi, da Giuseppe Mazzini a Pippo e Minnie, che fino all'altro ieri qua erano del tutto legali.
E da quali misfatti provenissero quei soldi neanche la Procura lo sa. Nebbia fitta, insomma, e non si sa quando si alzerà. Intanto, ai difensori del coriaceo Podeschi hanno messo un pizzino di avvertimento sull'auto: «È meglio per voi se tornate a Firenze».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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