Quando gli americani decisero di bombardare Roma il 19 luglio del 1943 si trovarono di fronte al problema dell'eccesso di piloti protestanti che si presentarono volontari per «bombardare il Papa». Il comandante in capo e futuro presidente americano Dwight Eisenhower dovette formare equipaggi di soli cattolici per i suoi bombardieri affinché non saltasse in testa a qualcuno una deviazione verso il Vaticano. Ieri Donald Trump, protestante, è invece atterrato pacificamene a Roma con il suo Air Force One, ma con prospettive buie in vista del suo incontro con Papa Francesco in Vaticano, dopo il precedente di un anno fa quando «The Donald» annunciava a gran voce la costruzione del muro lungo la frontiera col Messico, mentre l'argentino Papa Bergoglio si ritrovava un miscredente e lo invitava a edificare ponti anziché muri. Fu un momento di frizione che poi entrambi i protagonisti cercarono di smorzare, ma Trump non rinunciò all'ultima battuta: «Il Papa parla di ponti, ma vive protetto fra alte mura».
La storia è densa di muri simbolici: il presidente americano Ronald Reagan aveva nel 1989 gridato al sovietico Michail Gorbaciov: «Si decida una buona volta a buttar giù quel maldetto muro», riferendosi a quello di Berlino. Gorbaciov accettò l'invito, dando il via libera alle storiche picconate che segnarono la fine simbolica della Guerra Fredda. Oggi il presidente protestante incontrerà il Papa di Roma, e questo gesto gli procurerà comunque in patria una dose di insulti degli intransigenti protestanti contro «i papisti». Fra il Papa argentino e il presidente yankee non corre buon sangue, e lo sappiamo. Ma c'è di più: Bergoglio andava d'amore e d'accordo con Obama, con cui realizzò in gran segreto l'accordo con i fratelli Castro a Cuba, dove il Papa andò a celebrare messa sotto lo sguardo di Che Guevara. Trump detesta quell'accordo che porta la firma dell'uomo che oggi va ad incontrare.
Assisteremo dunque a un incontro potenzialmente esplosivo, ma ammortizzato dalle buone creanze diplomatiche, anche perché il piatto forte sarà la retorica delle tre religioni monoteiste, avendo Trump inaugurato il suo viaggio in Arabia Saudita presso i musulmani sunniti, mandando al diavolo gli sciiti sostenuti dall'Iran, prima di recarsi a Gerusalemme e al Muro del pianto dove è stato protagonista di un incontro di altissima caratura simbolica, anche grazie a suo genero Jared Kushner e alla figlia Ivanka, moglie di Jared convertita per lui all'ebraismo. Inoltre, prima di decollare per Roma il presidente americano ha fatto un'altra visita musulmana incontrando il presidente palestinese Abu Mazen. Seguendo questo itinerario lungo la via delle tre religioni monoteiste, Trump è pronto ad entrare nella misteriosa città vaticana dopo aver varcato le porte delle altissime mura fra le quali vive un uomo che parla la stessa lingua dei messicani e ne condivide largamente il modo di pensare, mentre in patria si agita lo spettro dell'impeachment con l'intento di azzopparlo.
Se Trump non ha fatto promesse epocali in Medio Oriente, dove si è ben guardato dal sostenere la teoria dei due popoli, due Stati, con il Papa si limiterà a dare un segnale neutrale di dialogo, mentre sarà Bruxelles il suo vero banco di prova perché lì verrà a batter cassa con i Paesi della Nato che non pagano la retta. L'Italia è fra i debitori: siamo indietro anche con le rate della sicurezza internazionale, ma cerchiamo di farla franca agitando l'innocuo vessillo di un esercito europeo che purtroppo non si farà mai, anche perché la Nato già esiste, ma grava di più sulle spalle del contribuente americano.
Questo sosterrà Trump, che non propone più di sciogliere l'alleanza, perché obsoleta e legata alla Guerra Fredda. Ultima tappa, il G7 di Taormina sotto l'incubo della strage di Manchester e senza la Russia di Putin, ancora in castigo per la vicenda ucraina.
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