Salvatore Pollara, l'imprenditore ucciso dalla mafia per aver detto no agli esattori del pizzo

Otto anni prima delle denunce di Libero Grassi, un altro imprenditore aveva detto no agli esattori del pizzo. Salvatore Pollara morì per mano di due killer di Cosa nostra. Il figlio Dario ricorda: "ha denunciato i boss in un momento in cui Palermo era considerata come Beirut"

Salvatore Pollara, l'imprenditore ucciso dalla mafia per aver detto no agli esattori del pizzo

La sera dell'11 marzo 1983 la mafia uccise l'imprenditore Salvatore Pollara, reo di aver testimoniato contro i boss mafiosi di Prizzi e denunciato gli esattori del pizzo. Fu ucciso nel più classico dello stile mafioso, in una Palermo che contava un morto al giorno, l'imprenditore fu raggiunto da due sicari e ucciso a colpi di pistola. Quella sera Pollara, mentre rientrava a casa a bordo di una Renault 4 guidata dal suo autista Francesco Pecoraro, fu bloccata da due killer che fecero fuoco ripetutamente uccidendolo sul colpo. Pollara, originario di Prizzi nel palermitano, era titolare di una ditta edile che negli anni Settanta si era occupata dei restauri monumentali degli edifici di pregio della città. Era stato lo stesso Pollara ad intervenire, tra gli altri, nella ristrutturazione della facciata della cattedrale di Palermo, della chiesa di San Domenico e del castello di Caccamo. Un imprenditore tutto di un pezzo, che non si piegava alle logiche del sistema criminale mafioso imperante in quegli anni bui. La storia di Salvatore Pollara è legata anche a quella del fratello. Quattro anni prima Giovanni, era stato fatto sparire col sistema della «lupara bianca» ma Salvatore non si era voluto piegare, denunciando l’accaduto. Collaborò con la giustizia dando un significativo apporto alle indagini e testimoniando nel processo che ne era seguito. Quando successivamente cominciarono i primi tentativi di richiesta di pizzo, le intimidazioni, le minacce e gli atti incendiari non ebbe paura presentandosi al commissariato Zisa per denunciare i suoi estortori.

Trentasei anni dopo Palermo lo ricorda con l'intitolazione di un giardino della memoria in piazza Maria Santissima di Pompei a Bonagia, proprio accanto alla chiesa della Madonna di Pompei, l'ultima costruzione della ditta Pollara e il cui altare oggi è dedicato alla memoria dell'imprenditore. Trentasei anni dopo, il figlio Dario ricorda la figura del padre. "Mio papà era una persona buona e corretta, un imprenditore normale che aiutava tutti e non si risparmiava mai - dice -. Un padre di tante famiglie, tante quante erano i suoi dipendenti. Purtroppo erano gli anni in cui Palermo era paragonata a Beirut, ma nonostante tutto ha avuto il coraggio di cercare la verità sulla scomparsa di suo fratello. Ha denunciato anche i responsabili di quel fatto testimoniando al processo che ha portato alla condanna dei boss di Prizzi".

Pollara non si piegò alle sempre più pressanti minacce di Cosa nostra, tanto da essere vittima di attentati incendiari nei suoi cantieri, pedinamenti e intimidazioni di ogni sorta. "Non si piegò mai alle richieste di pizzo - racconta il figlio -. Una scelta coraggiosa che lo ha portato ad essere vittima della mafia". Oggi la memoria di Pollara è ancora viva, in una Palermo diversa e più consapevole della propria memoria.

"Mio padre ha lasciato inconsapevolmente un'eredità pesante, quella di essere migliore degli altri, differenziarsi, distinguersi. Ha dimostrato di non aver timore di nulla e di cercare sempre la verità. Lo ha fatto in un momento diverso della storia di questa città, ma lo ha fatto per lasciare una Palermo diversa".

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