Un nuovo sorprendente tassello aiuta a chiarire la storia di Moas, la più attiva e la più discussa tra le organizzazioni non governative della cosiddetta «flotta solidale». Un gruppo di navi che, com'è ormai assodato, va incontro ai barconi dei migranti a ridosso delle coste libiche, li carica a bordo e li trasporta nei porti italiani.
Aderendo spontaneamente a una richiesta di trasparenza, la Ong fondata da un ricca coppia italo-americana, Chris e Regina Catrambone, ha fornito al Giornale l'elenco dei suoi dieci principali finanziatori. Sorpresa: la Ong con sede a Malta e dirigenti provenienti dall'esercito maltese, cioè da un Paese che non accoglie profughi, ha tra i suoi dieci migliori finanziatori la Svizzera, cioè un'altra terra più predisposta ad accogliere chi arriva in Ferrari di chi sbarca da un gommone.
Tutto perfettamente legittimo e comprensibile, ma resta da capire perché un dipartimento del ministero degli Esteri della Confederazione Elvetica abbia generosamente finanziato un'operazione che ha l'effetto di portare migranti in un altro Stato, ovvero l'Italia. Per di più, difficilmente i suddetti migranti possono poi scegliere di proseguire il viaggio verso la Svizzera. Berna infatti aderisce al trattato di Dublino, che prevede l'asilo nel Paese di primo approdo, e lo applica in modo piuttosto puntiglioso.
Non per niente è la nazione che ha rispedito nel Paese europeo di primo approdo, quasi sempre l'Italia, il maggiore numero di migranti. Nel periodo 2009-2014, la Svizzera ha accolto solo 2.523 richiedenti asilo e ne ha ricacciati verso altri Paesi 19.517. Un record difeso strenuamente: il governo federale elvetico ha infatti alzato un muro contro ogni tentativo di cambiare l'accordo di Dublino. E ora si capisce meglio come mai. Tra l'altro, negli ultimi anni la Svizzera ha iniziato a ospitare i migranti in centri ricavati nei bunker sotterranei della locale Protezione civile. Facile capire perché il numero delle richieste d'asilo sia decisamente in calo.
Nell'audizione dello scorso 4 maggio il Parlamento italiano, attraverso il comitato Schengen, ha pressato i dirigenti di Moas, ottenendo come unica risposta che avevano ricevuto «230mila euro da un'istituzione europea», aggiungendo di non essere in grado di specificare quale, nonostante le insistenze della presidente Laura Ravetto che, giustamente, faceva notare che un'istituzione pubblica non può invocare la privacy.
Nell'elenco fornito al Giornale l'unica istituzione pubblica è l'Agenzia svizzera per la cooperazione e lo sviluppo, che è un dipartimento del ministero degli Esteri della Confederazione. La nazione delle banche negli ultimi anni ha erogato copiosi finanziamenti alla piccola Malta. Una fetta, a quanto si scopre ora, è finita proprio alla Moas.
Considerate le polemiche sulle attività delle Ong, ce ne sarebbe abbastanza perché il governo italiano chiedesse conto della ragione di questo finanziamento alla Svizzera, ma considerato che finora Gentiloni e i suoi uomini hanno soprattutto pensato a difendere, in modo pregiudiziale, l'onorabilità delle Ong dalle inchieste delle Procure, chissà se il governo avrà voglia di vederci chiaro. In favore dei vertici di Moas va detto che almeno loro hanno accettato di raccontare la provenienza di una parte dei soldi.
Altre Ong hanno risposto al Giornale col silenzio o con informazioni parziali. Ma chi sono gli altri finanziatori di Moas? Ecco il resto dell'elenco dei top 10: Croce rossa italiana, Medici senza frontiere, i lettori del quotidiano britannico Guardian, Avaaz, Caritas Germany, il gruppo petrolifero tedesco Ogi, il fondo tedesco Aurelius Invest, Emergency e Soundtoys (un'azienda tech). Dunque, come in un gioco di scatole cinesi, i finanziamenti alle Ong arrivano anche da altre Ong. Tra queste spicca il nome di Avaaz, un colosso mondiale che ha una struttura soprattutto «virtuale»: è capace di smuovere grandi campagne mediatiche, ma lo fa soprattutto attraverso i media e la raccolta di adesioni via web. Dietro ad Avaaz ci sarebbe l'ormai stracitato finanziere George Soros, noto per le speculazioni finanziarie basate sulle oscillazioni delle valute causate dall'instabilità delle economie di interi Paesi. Un «socio sostenitore» che suscita altri interrogativi su Moas.
Altre Ong del resto sono state ancora più opache. La tedesca Sea Watch ha invocato la privacy sui donatori e al Parlamento italiano ha solo detto che sono privati, al 95% tedeschi e il 5% da altri Paesi, da Cipro al Sudafrica, al Regno Unito.
Negli ultimi giorni il governo, dopo avere minimizzato il problema, ha iniziato a valutare l'istituzione di un registro delle Ong in mare. Ecco come ha commentato il portavoce di Sea Watch Axel Grafmanns: «In caso lo valuteremo».Twitter: @giuseppemarino_
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