Non vogliono andarsene. Non i vecchi taciturni, silenziosi davanti alle tv, e neppure quelli più loquaci e caparbi. Tutti, o quasi, non ne vogliono sapere di altre case, o posti più sicuri. Vogliono rimanere lì, nelle loro case, anche se le case non ci sono più. Loro ci sono ancora, e restano.
Come mai? Nell'epoca in cui, giù in città, interi quartieri di pochi decenni vengono abbattuti per fare spazio ad altro, cosa vogliono queste figure rocciose, pronte ad affrontare inverni rigidi senza più nulla delle cose che amavano pur di restare lì, tra le loro pietre rotolate giù, quelle pareti sbrindellate, quei tetti ora a pezzi: tutte parti del loro corpo e della loro anima? Quei materiali sbiancati dalla polvere sono oggi la loro vita: impossibile crearne magicamente un'altra, altrove.
Non è retorica localista: è la vita umana, reale. Con i suoi aspetti fisici, molto concreti. È il cervello, coi suoi circuiti neurali che si sono sviluppati lì, nutriti da quelle immagini. È la memoria, sorretta da quei ricordi: quelli, insostituibili, della propria storia. È il cuore che batte assieme al respiro della propria terra, come ben sapeva il preciso astronomo Keplero. Per tutti loro, la casa non è solo un manufatto, sostituibile con un altro, meglio se in altro luogo, più sicuro. È il territorio dove è trascorsa la loro vita, impastata con esso e da lui nutrita. Certo, per chi vive nella metropoli è diverso. Si può cambiare casa, quartiere, città, anche nazione, molto più facilmente. Siamo più autonomi dal territorio, meno radicati. La cosa ha naturalmente i suoi prezzi, come sanno bene etnopsichiatri e psicologi attenti agli aspetti identitari della psiche (malgrado l'ostilità delle istituzioni anche psicologiche, perché identità e territorio sono considerati politicamente scorretti). Lo sradicamento suscita vaste patologie, che fatalmente emergono quando si esagera col fingersi cittadini del mondo; dopo non sono proprio sciocchezze. Come dimostra, proprio in questi giorni, la difficoltà di «guarire» con le psicologie correnti i disturbi degli immigrati islamici di seconda generazione, in Francia. Essere mobili è comunque possibile ed anche utile, soprattutto in un Paese diventato ormai zona sismica. Ma non per tutti, forse non per questi vecchi impervi come la loro terra.
Alberto Magno e scienziati e pensatori del Rinascimento (da cui vengono molte delle meraviglie sparse tra queste chiese e queste pietre, segnate da quell'esperienza), conoscevano bene e perfettamente descrissero l'inscindibile unità tra l'uomo e i suoi luoghi. Il ricco legame che li unisce e la difficoltà di separarli.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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