Non ci sono solo i miliziani dello Stato islamico da cui guardarsi. Mentre i servizi sono concentrati sugli uomini del Califfato che provano a infiltrarsi sui barconi degli scafisti per raggiungere l'Europa e colpire il cuore della cristianità, al Qaeda opera indisturbata sul suolo italiano. Una organizzazione terroristica internazionale affiliata ad al Qaeda che si è distribuita su ben sette province del Paese è, infatti, finita nel mirino della polizia che questa mattina ha eseguito diciotto ordinanze di custodia cautelare. Tra gli obiettivi della cellula c'era proprio il Vaticano: un kamikaze presente in Italia stava, infatti, organizzando un attentato contro la Santa Sede.
Dalle indagini è emerso che l'organizzazione terroristica aveva a disposizione armi in abbondanza e numerosi fedeli che erano disposti a compiere atti di terrorismo in Pakistan e Afghanistan, per poi rientrare in Italia. Tra gli affiliati c'erano anche gli autori di numerosi e sanguinari atti di terrorismo e sabotaggio in Pakistan (compresa la strage di Meena Bazar, mercato di Peshawar dove, nell'ottobre del 2009, vennero uccise più di cento persone) e un kamikaze che stava organizzando un attacco alla Santa Sede. A conferma del progetto di colpire il Vaticano nelle attività di intercettazione è emerso che nel marzo 2010 arrivarono a Roma due pachistani, ritenuti dagli inquirenti due kamikaze. "Tenetevi pronti" e "Le bombe esploderanno" sono le frasi emerse dai tabulati telefonici riferite questa mattina dagli inquirenti. Ma l’organizzazione aveva capito di essere già oggetto di attenzione delle forze dell’ordine e in poco tempo ha allontanato i due (uno a Olbia e l'altro nel nord Italia) che hanno poi fatto perdere le proprie tracce.
La polizia ha riscontrato come il ruolo principale era svolto da un dirigente del movimento pietistico Tabligh Eddawa (Società della Propaganda), il quale, forte della sua autorità religiosa di imam e formatore coranico, operante tra Brescia e Bergamo, stimolava la raccolta di fondi, presso le comunità pakistano-afghane, radicate nel territorio italiano. I fondi venivano inviati in Pakistan mediante membri dell’organizzazione che aggiravano i sistemi di controllo sull’esportazione doganale di denaro. In un caso è stato riscontrato il trasferimento di 55.268 euro mediante un volo per Islamabad in partenza da Roma Fiumicino, omettendo di farne dichiarazione di possesso alle autorità doganali. Più di frequente però era utilizzato il sistema cosiddetto hawala. Si tratta di un meccanismo di trasferimento valutario e occulto, basato sul legame fiduciario diffuso nelle comunità islamiche europee. Tale sistema consente di trasferire una somma di denaro all’estero consegnandola ad un terminale presente nello Stato estero, detto hawaladar, che fornisce un codice identificativo segreto. I beneficiari della rimessa, tramite tale codice, possono prelevare la somma presso l'hawaladar della sede di destinazione.
L'organizzazione, di cui fanno parte anche due fiancheggiatori che in Pakistan hanno a lungo protetto lo sceicco Osama Bin Laden, provvedeva ad alimentare la rete criminale destinando una parte del proprio impegno al fenomeno dell’introduzione illegale sul territorio nazionale di cittadini pachistani o afgani che in taluni casi venivano anche smistati in alcuni Paesi del nord Europa. "Per eludere la normativa che disciplina l’ingresso o la permanenza sul territorio nazionale di cittadini extracomunitari - spiegano gli investigatori - gli indagati utilizzavano sistemi semplici e collaudati". In alcuni casi facevano ricorso a contratti di lavoro con imprenditori compiacenti in modo da poter ottenere i visti di ingresso. In altri percorrevano la via dell'asilo politico facendo passare gli interessati, attraverso documenti falsi e attestazioni fraudolente, per vittime di persecuzioni etniche o religiose. L’organizzazione forniva supporto logistico e finanziario ai clandestini, assicurando loro patrocinio verso i competenti uffici immigrazione, istruzioni sulle dichiarazioni da rendere per ottenere l’asilo politico, apparecchi telefonici e sim, contatti personali.
La polizia di Macerata oggi pomeriggio ha arrestato il decimo componente dell'organizzazione terroristica sgominata in seguito
all'indagine della Digos di Sassari. Gli investigatori della Digos di Macerata hanno individuato un quarantaseinne pachistano all'interno di uno stabile di Porto Recanati, dove da tempo vivono numerose persone di diversa etnia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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