Tornano i barconi, Lampedusa indifesa

Senza respingimenti, si ricomincia: ieri sono sbarcati in 400. Arrivano dalla Tunisia, non sono profughi. Ma noi gli spalanchiamo le porte

Ripresi gli sbarchi a Lampedusa
Ripresi gli sbarchi a Lampedusa

Ricominciano gli sbarchi di massa a Lampedusa. Solo ieri so­no giunti sull'iso­la oltre 400 clande­stini, nella mag­gioranza, se non tutti, tunisini. An­che se parlare di sbarchi non è cor­retto, perché si tratta di accompa­gnamenti, di pre­sa in consegna dei clandestini - detti «migranti» secon­do il pi­agnisteo po­liticamente corret­to - in alto mare e loro traghetta­mento sulla terra­ferma. E non sia­mo di fronte al soc­corso umanitario - mare in burra­sca, carrette del mare lì lì per sfa­sciarsi, condizio­ni disumane oltre a mancanza d'ac­qua e di cibo - sul quale non si discu­te. Ma proprio di una procedura di benvenuto. I due natanti sul quale erano imbarcati i 400 tunisini so­no motopescherecci in buono sta­to, l'uno di 16 e l'altro di 12 metri. Il mare era mosso, ma di quel mo­to ondoso ben sopportato anche dai bagnanti in pattino. E nessu­no dei «migranti» dava segno di di­sidratazione o inedia. Entrambi i pescherecci sono stati avvistati dal servizio di pattugliamento, un aereo islandese in missione per conto della Frontex (l’agen­zia europea per il coordinamento del pattugliamento delle frontie­re esterne aeree, marittime e ter­restri degli Stati dell'Unione) e un elicottero della nostra Marina mi­litare.

Segnalate le due imbarca­zioni con prua su Lampedusa, al­la prima le è andata incontro una squadra composta da una moto­vedetta della Guardia di Finanza, una nave della Marina militare e tre motovedette della Capitane­ria di Porto assistite da due elicot­teri. Alla seconda una flotta com­posta da due navi della Marina e due motovedette della Guardia costiera, ovviamente assistite da un elicottero. In totale, sette unità navali e tre aeree (figuriamoci i co­sti). Neanche si fosse dovuto an­dare in soccorso dei naufraghi del Titanic. In ogni modo, i clan­destini, tutti in buona salute (la traversata dalla costa tunisina a Lampedusa è di cento e sessanta chilometri per cui anche andan­do a 15 nodi in sei-sette ore si è a destinazione) sono stati trasbor­dati dai pescherecci alle unità na­vali che li hanno felicemente e confortevolmente condotti alla meta.

Questo per dire che grazie a ciò che Roberto Maroni giustamente definisce «buonismo peloso» (ci torneremo subito) praticato in specie da questo governo che van­ta addirittura un Ministero per l'Integrazione all'insegna «del­l’Avanti c'è posto», si è come ste­so u­n tappeto rosso tra i centri nor­dafricani di smistamento dei clan­destini e le coste della madrepa­tria. Che così sono diventate le preferite, scalzando quelle spa­gnole da quando Louis Rodri­guez Zapatero ebbe l'idea di bloc­care l'immigrazione clandestina armi alla mano. Nessuno vuole che si giunga a tanto, per carità. Neanche pensarci. Però, qualco­sa si deve pur fare per scrollarci di dosso l'etichetta di Paese-Bengo­di del Clandestino. Ad esempio procedendo al rimpatrio imme­diato quando sussista la certezza che i «migranti» siano tali e non perseguitati politici con diritto d'asilo (categoria alla quale il «buonismo peloso» vorrebbe far comprendere chiunque metta piede- clandestinamente- in Ita­lia). E qui torniamo a Roberto Ma­roni.

Riferendosi ai 400 e passa sbarcati ieri l'ex ministro ha man­dato a dire: «Vengono dalla Tuni­sia, non sono profughi ma clande­stini e possono essere rimpatriati subito in base all'accordo da me fatto un anno fa. Ministro Cancel­lieri, coraggio, non si faccia frega­re dal buonismo peloso di qual­che suo collega di governo ». Paro­le sante.

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