La tregua salviniana che spiazza

La tregua salviniana che spiazza

N on è solo il clima di Natale. Questa volta non è neppure uno slogan, qualcosa del tipo: siamo tutti più buoni. La mossa di Matteo Salvini ha una ratio politica. Fermiamoci. L'Italia sta franando mentre a destra e sinistra va in scena la giostra degli insulti, del muro contro muro, del chi picchia più forte. È un'ossessione. È l'opera dei pupi. È la campagna elettorale senza tregua. Non conviene a nessuno. Salvini certe cose le sente, magari è solo una mossa tattica, ma forse ha capito che sta cambiando il vento. Non si può vivere solo di randellate e allora ecco la proposta: un patto per salvare quel che resta di questo benedetto Paese. «Stiamo vivendo un momento drammatico, chiediamo di sedere tutti intorno a un tavolo a riflettere sui rischi che l'Italia sta vivendo».

Questo appello Salvini lo fa dal No Tax Day di Milano. Ne parla mentre il governo si ritrova a fare i conti con il fallimento della Popolare di Bari. Non è solo un nuovo caso di bancarotta. È il segno di una crisi che ormai è al punto di non ritorno. La tentazione della maggioranza è nazionalizzare tutto: Alitalia, Ilva, le banche, pezzi di imprese che stanno crollando. È un ritorno all'Iri, alle imprese di Stato amate dal fascismo e sognate dal comunismo. Tutto questo con un debito pubblico che all'improvviso non interessa più a nessuno.

Salvini è disposto a sedersi e a parlarne. Riprende in realtà una proposta del suo braccio destro Giancarlo Giorgetti, messa in campo circa un mese fa a Milano nel corso di un dibattito con il sindaco Giuseppe Sala. «Diamoci cinque priorità: risparmio, infrastrutture, burocrazia, politiche di crescita e tutela della salute. Ci mettiamo attorno a un tavolo, riscriviamo le regole del gioco. In un mese condividiamo le cose su cui siamo d'accordo».

È una tregua, un comitato di salvezza nazionale, che coinvolge tutti: da Leu a Forza Italia, dal Pd ai Cinque Stelle, da Fratelli d'Italia alla Lega, passando per i renziani. «Adesso io chiedo al signor Conte di smettere di insultare, di minacciare querele, sediamoci, ragioniamo di cosa serve all'Italia, scriviamo le regole di base e torniamo a votare».

La risposta del premier è per ora uno scettico: non ci credo. Conte ritiene Salvini ormai un nemico di cui è impossibile fidarsi. Legge la tregua solo come una mossa per creare turbolenze all'interno della maggioranza.

Il Pd considera il discorso di Salvini una provocazione. Rischia di smascherare i piani del partito. Certe cose non si dicono. Si fanno, ma sottobanco. Non è un segreto che Zingaretti e Salvini stanno da tempo ragionando sulla legge elettorale. Tutti e due sono convinti che non si può andare troppo avanti con questo governo, in perenne angoscia, povero di idee e dove ognuno gioca una partita personale. Bisogna creare le condizioni per andare al voto.

I Cinque Stelle sono allo sbando, ormai il loro obiettivo è sopravvivere. Rinviare l'appuntamento elettorale è un modo per resistere in un limbo. Ma fino a quando?

Salvini però ha ragione quando parla di un'Italia in caduta libera.

Questo governo non è in grado di risolvere alcun problema. Allora le strade sono due: un patto istituzionale o si va al voto. Non c'è più tempo.

Non possiamo più permetterci il tirare a campare.

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