Vivere con l'amianto

Trentadue milioni di tonnellate da smaltire in Italia. In Lombardia c'è chi ci convive dagli anni '40. E i rischi per la salute sono altissimi

Vivere con l'amianto

Di amianto si muore. Si sa. Eppure c'è chi deve conviverci. Sapere che in Italia ci sono ancora 32 milioni di tonnellate di amianto da smaltire, fa specie. Nessuna regione italiana è esclusa, ci sono dentro tutte. E di certo non bisogna stupirsi se in Lombardia, e quindi al nord, si parla ancora di amianto. "Ma come, c'è l'amianto a Milano?!". Suona un po' come dire che la 'ndrangheta al nord non esiste". Stesso effetto, stessa quantità. Per capire la dimensione del problema che è davvero letale, basta capire che per fare un capello occorrono 1.200 fibre di amianto. Risulta impossibile pensare di fare il calcolo per 32 milioni di tonnellate. Un paragone impressionante che dovrebbe smuovere le persone che hanno il dovere di mettere in sicurezza il paese, perché la responsabilità, vista la mole e i costi di smaltimento, non può essere che pubblica. A scattare una fotografia nitida e drammatica è Fulvio Aurora, Segretario nazionale dell'Associazione AIEA (Associazione Italiana Esposti amianto), fondata e formata da ex lavoratori di fabbrica che per anni hanno maneggiato amianto. "Basta una fibra per essere contagiati, specie se ti occupi di bonificare l'ambiente e quindi ti trovi a grattare l'amianto" dice Fulvio. Certamente occorre indossare "l'armatura" con tutte le precauzioni del caso. Le persone invece che abitano nei condomini e si trovano a dovere scendere in cantina quotidianamente per qualsiasi necessità sono costrette a respirare l'amianto puro, decisamente più dannoso dell'amianto color grigio che vediamo sui tetti. Per scendere nella cantina di Ulla, al 179 di via Lorenteggio, dove gli inquilini regolari si contano su una mano, non ci sono protezioni speciali, solo gli stivali di gomma da cui non si separa mai. Causa di forza maggiore. Dopo aver respirato un po' di amianto puro, cosa che Ulla e gli altri condomini fanno quotidianamente, soprattutto chi nelle cantine ci dorme, cerchiamo di capire quanto abbiamo rischiato. Il cittadino deve sapere che il responsabile della salute è il sindaco, quindi deve rivolgersi al comune e al dipartimento di prevenzione locale. E proprio nel quartiere Giambellino incontriamo Franco, abusivo per necessità da 2 anni, dopo essere stato sfrattato, ora fa parte del comitato di quartiere Giambellino-Lorenteggio e si batte per essere regolarizzato. "La polizia fa il suo dovere, deve sgomberare chi è abusivo - dice con convinzione- ma prima occorre bonificare le case e poi assegnarle, qui il problema è da sempre in mano alla politica". Certamente di fronte all'amianto non c'è abusivo o sgombero che regga il confronto, la prima responsabilità della politica è quella di assegnare case dove vivere e non dove morire. Un vero e proprio abuso di amianto, un business, anche perché ai tempi costava poco. Ora invece è troppo costoso smaltirlo, e di fronte a una cifra indicibile, il settore pubblico cosa fa? Per legge è vietato dal 1992, ma prima è stato usato nelle coperture di scuole, ospedali, uffici. Esiste un piano nazionale per l'amianto che non è stato ancora approvato e che ha come priorità la bonifica delle scuole. A Milano, per esempio, ce ne sono decine che avrebbero già dovuto essere bonificate, di fatto siamo al punto di partenza anche se un piano c'è. Fulvio ci fa notare che occorre tenere in considerazione il tempo di latenza che va da quando una persona viene esposta a quando contrae la malattia. Esiste infatti un lasso di tempo che va dai 10 ai 40 anni, " mentre il tempo che passa da quando lo contrai alla morte - dice - non supera l'anno" In Italia sono 4.000 le persone che in un anno hanno contratto le malattie più gravi, nel mondo se ne contano 107.000.

Purtroppo, questa sostanza è ancora un business per chi la produce e per chi provvederà alla bonifica.

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