L'arte per l'arte? Ma neanche per idea. Secondo Giovanni Gasparro la pittura è qualcosa di troppo importante per essere lasciata nelle mani dei pittori e degli altri addetti ai lavori, personaggi tutti grosso modo nichilisti per i quali un quadro è solo un quadro e al massimo, quando va bene, quando c'è mercato, una quotazione.
Anche Gasparro è un pittore ma innanzitutto è un credente: con coerenza rara ovunque e figuriamoci in un mondo cattolico mai così pullulante di mangiaostie a tradimento, nel maggio scorso, quando il Premio Pio Alferano gli ha commissionato un lavoro su Gioacchino Murat, ha deciso di rischiare il fuori tema e quindi la bocciatura, rifiutandosi di illustrare pedissequamente il titolo della mostra che alla commissione sarebbe seguita, «Murat è vivo». Ha deciso di ubbidire alla propria coscienza e di non celebrare in alcun modo la figura del re napoleonico di Napoli, «legato notoriamente», così mi scrive, «alle forze massoniche anticlericali». Da cattolico borbonico qual sono condivido tutto, meno l'avverbio. Notoriamente? Quanti italiani sanno che Gioacchino Murat, paracadutato sotto il Vesuvio dal cognato imperatore Napoleone Bonaparte, trasformò i conventi meridionali in caserme e impose una coscrizione obbligatoria che produsse diserzioni e quindi brigantaggio e quindi feroci repressioni? Forse nemmeno tutti gli abitanti di Stilo, il paese calabrese dove un generale murattiano, giustamente soprannominato «Sterminatore», fece strage di donne e bambini.
Nella surreale stagione perdonistica che stiamo vivendo, una stagione in cui, per esigenze pastorali che non mi permetto di discutere, i pontefici lasciano passare in secondo piano la verità storica, molti ormai penseranno che sono stati i preti a perseguitare i giacobini, gli invasi a opprimere gli invasori. Proprio perché gli episodi sono tutt'altro che noti, è importante che ad agosto, questo agosto, Giovanni Gasparro abbia consegnato ai committenti un quadro che più cattolico non è possibile immaginare, a cominciare dal soggetto, Pio VII, e dal titolo, Quum memoranda , riprendente il breve apostolico col quale il Papa scomunicò Bonaparte guadagnandosi arresto e deportazione. Ed è importantissimo che ad agosto, questo agosto, la giuria del premio di stanza a Castellabate abbia assegnato la vittoria proprio a Gasparro, nonostante l'amena località del Cilento coltivi qualche nostalgia murattiana.
Il premio, diretto da Vittorio Sgarbi col carisma che gli è proprio, è intitolato a un grande carabiniere, il generale Alferano che comandò il nucleo tutela patrimonio culturale e recuperò innumerevoli opere d'arte rubate. «Nei secoli fedele» è il motto dell'Arma che Gasparro certamente condivide anche se, vista l'anagrafe (è nato a Bari nel 1983), la sua fedeltà è molto più breve. Ma non per questo meno granitica. Tradizionalista sia in arte che in religione, prima del presente exploit cilentano ha realizzato il più grande ciclo pittorico religioso del ventunesimo secolo: le 18 pale d'altare (più altrettante cimase) della monumentale chiesa di San Giuseppe Artigiano all'Aquila. Da vedere e far vedere a chi pensa che l'arte sacra sia morta. Grazie a Dio è viva, invece, così come grazie al diavolo è davvero in qualche modo vivo anche Murat.
Il quadro di Gasparro descrive una persecuzione anticattolica di due secoli fa eppure suona attualissimo oggi che gli eredi morali di quegli antichi persecutori schiacciano nel sangue, in Asia e in Africa, vecchie e nuove comunità cristiane. L'arte non è soltanto arte, sembra dirci la tela febbrile del giovin pittore pugliese, ma anche storia, verità, sacrificio, fede. E quando scrivo fede intendo sia fede in Cristo che fede nella pittura. Se Gasparro fosse semplicemente un devoto, e non anche uno dei migliori pittori italiani (e non solo italiani) viventi, non mi spenderei così tanto. Il mondo è pieno di pittori cattolici imitativi e soporiferi, in grado di decorare proficuamente una chiesa ma non di far procedere l'arte di un solo millimetro.
Qui abbiamo un artista capace di uno stile classico e originale al contempo, messo al servizio non del proprio ego o del dio denaro ma di una grande visione che come minimo dovrebbe suscitare qualche piccola, sana polemica storiografica.Tutto questo coraggio e tutto questo talento, concentrati in una tela 90x70, sono visibili nel Castello dell'Abate di Castellabate (Salerno), fino al 31 agosto.
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