Avete presente il classico binomio Apollineo/Dionisiaco? La fascinazione poetico-musicale, selvaggia e quasi archetipica che troviamo ne La nascita della tragedia? Ecco, in questo libro non se ne vede traccia. Quello de Il servizio divino dei Greci (Adelphi, pagg. 292, euro 18) è un Friedrich Nietszche che indossa le armi razionalistiche, filologia e illuminismo, e rifà i conti con la religiosità della Grecia classica in termini precisi e documentati.
Il libro è la prima traduzione italiana, a cura di Manfred Posani Loewenstein, delle lezioni filologiche tenute a Basilea (nei semestri invernali 1875-76 e 1877-78), prima che la salute ballerina costringesse il filosofo trentaquattrenne a chiudere con l'insegnamento. Nietzsche in quegli anni è alle prese con la stesura di Umano troppo umano. E siamo appunto alla fase «illuminista»; dopo aver rotto con Wagner, e aver rottamato Schopenhauer, il pensatore tedesco annusa Voltaire: analizza la religiosità greca con spirito laico. Non è ancora diventato il profeta degli ultimi anni. E infatti parecchie pagine de Il servizio divino potrebbero ricordare tono e argomentazioni di atei odierni.
I Greci antichi, nella loro oziosità aristocratica, sono stati dei grandissimi «celebratori di feste» dedicate ai loro dei, racconta Nietszche: «essi hanno speso un'energia straordinaria, oltre che tempo e danaro nell'elaborare rituali» religiosi. Solo che, argomenta Nietzsche, il pensiero religioso si basa su alcune tendenze all'errore, «troppo umane», antiscientifiche e tipiche delle culture primitive: come l'inesattezza dell'osservazione, che predilige «la prova dell'evento magico alla sua confutazione». O come «l'esclusività della memoria per i casi straordinari» mentre «l'uomo filosofico o scientifico trovano interessante ciò che è usuale, quotidiano, e lo elevano al rango di problema». O infine come l'impulso della pigrizia «perché le cerimonie religiose sicuramente stancano, ma mai quanto il lavoro naturale».
Insomma, secondo l'analista Nietzsche alla base della credenza religiosa ci sarebbe un «pensiero impuro». L'idea tutta magica, anzi «animistica» e primitiva di poter influire sulla realtà con il pensiero, con la preghiera e con gli atti umani.
Greci come popolo lussuosamente arcaico, quindi? Soggetti a favole e incantesimi, preda di un pensiero magico e «impuro»? Aperti per ignoranza a contaminazioni straniere? Ebbene no. Per Nietzsche la religiosità greca era sì basata sui culti degli dei da seguire con attenzione maniacale e senza mai mancare di rispetto. Ma era sorprendentemente laica riguardo a tutto il resto. «Non v'era alcun obbligo di fede» spiega il libro: «nessuna ortodossia. Si tollerava ogni sorta di opinione sugli dei» e l'esempio classico è quello della commedia, in cui le divinità venivano tranquillamente sbertucciate. Continua Nietzsche: «la religione greca ha poco a che vedere con il convincimento interiore e con le rappresentazioni. Il bene della polis dipende piuttosto dal fatto che il singolo non mandi in collera gli dei attraverso la violazione del loro giusto diritto al culto». Altrettanto degno di nota il fatto che in Grecia, a differenza che presso altri popoli, per esempio gli egiziani, non esistesse una vera e propria casta sacerdotale, con poteri e privilegi particolari.
La particolare condizione pratico-spirituale sarebbe dovuta, secondo un Nietzsche che qui segue Jacob Burckhardt, a Omero, con i suoi dei «frivoli» che avrebbero fatto dimenticare la religione barbara e tenebrosa degli inizi. E ecco la caratteristica peculiare, la quasi «laicità» della religione greca rispetto alle altre, dai culti egizi all'ebraismo.
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