Altro che bellezza... La storia dell'arte è incantata dal brutto

Jean Clair rilegge il mito di Medusa: ecco come (e perché) l'uomo da sempre tenta di vincere il mostruoso, raffigurandolo

Altro che bellezza... La storia dell'arte è incantata dal brutto

Purtroppo la psicanalisi ha pochissimo da dire sulla bellezza, scrisse Sigmund Freud, nel 1929, ne Il disagio della civiltà. E sulla bruttezza, invece? E l'arte, cos'ha da dire sull'antitesi del Bello, cioè l'orrido?
Ad ascoltare Jean Clair - critico d'arte fra i più importanti d'Europa - moltissimo. Intellettuale polemico e dissacrante, spietato stroncatore dell'arte contemporanea e dell'industria delle «patacche milionarie» come Hirst, Fabre e Cattelan, Jean Clair ha dedicato alla vera bellezza dell'arte, cioè la rappresentazione del Brutto, un saggio straordinario, difficile, ricchissimo di suggestioni e paralleli fra mondi lontani: letteratura, antropologia, religione, ottica e fotografia, archeologia, magia... Un saggio la cui complessità (e fascinazione) è difficilmente riassumibile che indaga le forme e le motivazioni del «brutto» nella storia dell'arte. Uscito nel 1989 da Gallimard, s'intitola Medusa (ora tradotto da Abscondita). Un libro-mondo in cui entrano e escono, come in un enorme labirinto dagli infiniti percorsi culturali, le diverse «facce» del mostruoso, rappresentato da Medusa, figura ambigua e ambivalente, mostro spaventoso e femmina irresistibile, che nei millenni ha attirato lo sguardo degli uomini (e degli artisti). Eroi o pittori che per non rimanere pietrificati dal suo volto irresistibile, l'hanno combattuta e uccisa, con la spada o l'equivalente intellettuale, il pennello.
Tanto spaventosa quanto seducente, fonte d'attrazione e insieme di repulsione (come tutto ciò che riguarda lo sguardo e il sesso, ossia ciò che ci ricorda che siamo nati e dobbiamo morire), simbolo del terrore ma anche arma contro i poteri del Male, la maschera di Medusa si manifesta nella storia delle società e della mentalità, e assilla le rappresentazioni artistiche, dalle Gorgoni che decorano le anfore protoattiche del VII secolo a.C. fino al sangue gocciolante della testa mozzata nel dripping di Jackson Pollock.
Caravaggio, Rubens, Füssli, Klimt, Van Gogh, Giacometti, Magritte. Simili a Perseo, gli artisti (ma anche romanzieri, filosofi, musicisti) hanno saputo scongiurare, dominandone lo sguardo, il terrore di Medusa, creatura mostruosa e allo stesso tempo femmina bellissima che trasforma in pietra gli uomini che non riescono a trattenersi dal guardarla. Simbolo, anche, della perversione intellettuale. Dea, mostro, angelo. «Il mito di Medusa - scrive Jean Clair - si lega indissolubilmente alla storia dello sviluppo delle forme plastiche, a quella che un po' frettolosamente chiamiamo “storia dell'arte”, poiché, nel fare dello sguardo la posta in gioco decisiva di un passo mortale, esso pone anche il processo di identificazione omeomorfica all'origine della cosiddetta “bellezza”».
Nata nell'Asia minore, variante ellenizzata di un demone mesopotanico, Medusa in origine incarna l'orrore (discendente dei giganti, è «madre» di Chimera, la Sfinge e tutte le creature infernali), poi progressivamente si umanizza, trasformandosi in creatura seducente, simbolo di follia e morte, allegoria dell'Invidia e della pazzia, generatrice di Caos. Decapitarla significa per l'uomo ritornare alla Ragione. E per spiegare come l'arte e la cultura hanno affrontato e vinto Medusa, Jean Clair scomoda la sessualità nella statuaria greca, le illusioni ottiche della pittura, i bestiari medievali, l'arte dei parrucchieri nella Rivoluzione francese, il pisciatoio-femmina di Duchamp, il realismo magico di De Chirico (e se l'avesse visto, ci avrebbe messo anche il kolossal-kitsch Scontro tra titani...). È un mito la cui forza dura da ventisette secoli, e ancora assilla l'immaginazione degli uomini. «Incarnazione dell'esasperato desiderio di vedere e della sua sanzione, dalla Medusa non si possono distogliere gli occhi.

Mostro ributtante o adorabile divinità, strega o fata, può presentarsi con qualsiasi travestimento: nello stesso tempo attira il nostro sguardo e lo paralizza, affascina e ci respinge». È l'orrore. L'altra faccia - la più incantevole - del Bello.

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