Nella prefazione a Invito a una decapitazione, Vladimir Nabokov definisce il proprio romanzo «un violino nel vuoto». Invece nella prefazione a Un mondo sinistro, lo scrittore non fornisce del libro una definizione, né così poetica né di altro tenore. È un piccolo particolare rivelatore. Possiamo ipotizzare che si fosse stancato di spiegare, usando le perlacee metafore che sono la sua specialità, il perché e il per come della sua ormai assodata occidentalizzazione, anzi addirittura della sua americanizzazione. Forse all'europeo e classico «violino nel vuoto» preferiva la statunitense e jazzata batteria in fondo al mare... Un mondo sinistro, che fino a ora, cioè fino a questa nuova edizione curata per Adelphi da Franca Pece (pagg. 259, euro 18) in Italia si chiamava I bastardi ed era targato Rizzoli 1967 e 1978 con traduzione di Bruno Oddera, è infatti una rutilante, rullante e roboante macchina narrativa. Lo struggente violino cede il passo agli energici tamburi e piatti. Se la stesura di Invito a una decapitazione risale agli anni Trenta, «all'incirca quindici anni dopo essere fuggito dal regime sovietico e appena prima che il regime nazista toccasse il suo massimo indice di gradimento», quella di Un mondo sinistro (titolo originale Bend Sinister) si colloca nel bel mezzo dei Quaranta. Non solo: il primo dei due libri «fratelli» uscì a Berlino, scritto in russo, mentre il secondogenito si fregia del passaporto Usa. Ma anche qui, come per Invito a una decapitazione, Nabokov rifiuta gli scontati accostamenti della sua opera al «grande autore tedesco», cioè Kafka, e al «mediocre scrittore inglese», cioè Orwell. E anche qui sorvola sulla dittatura concentrazionaria a lui ben nota che ha senza dubbio influenzato l'atmosfera delle sue pagine.
Pagine in cui, uscendo a nostra volta dai rimandi obbligatori e accademici, possiamo trovare affinità, oltre che con il bellissimo Melancolia della resistenza, dell'ungherese László Krasznahorkai (Zandonai, 2012), con The Duel di Joseph Conrad e con Kappa di Ryunosuke Akutagawa. Un duello che dura tutta una vita, come quello che lega i protagonisti del racconto del polacco-inglese, è messo infatti in campo fra il professor Adam Krug e il dittatore Paduk. E d'altra parte il mondo in cui veniamo trasportati è assurdo e grottesco come quello descritto dall'immaginifico giapponese.
Quando a Krug, intellettuale dallo spirito indipendente che quindi si trova a malpartito sotto il nuovo regime del suo ex compagno di scuola Paduk, venticinque anni prima noto a tutti con il soprannome di «il Rospo», muore la moglie Olga, si dissolve in lui la voglia di continuare a ricoprire un ruolo troppo pesante, quello di capofamiglia. Gli resta il piccolo David, di otto anni, l'unico bene che nessuno potrà mai sottrargli. Almeno così pensa il quarantenne docente universitario di Filosofia, con un inconsapevole (ed eccessivo) slancio di ottimismo. Lo Stato poliziesco che opprime i non allineati si prende cura anche del suo ateneo, mettendo in gabbia (o peggio) quattro suoi colleghi e amici. La dottrina imperante è l'ekwilismo, partorito dal genio folle di Fradrik Skotoma. L'assunto è molto semplice: nel mondo esiste una quantità X di coscienza, ma distribuita in modo ineguale fra le persone, dunque occorre equilibrare la situazione, occorre, direbbero e in effetti hanno detto altri, collettivizzarla. Chi non si adegua, chi vuol fare di testa propria e di coscienza propria, deve togliere il disturbo onde non contagiare gli altri. «Per conto mio è la frase più abietta che esista - dice il Rospo-Paduk, creatore del partito dell'Uomo Comune, al suo antico amichetto -. Nessuno sta per conto suo. Quando in un organismo una cellula dice lasciatemi stare in pace, per conto mio, la conseguenza è il cancro».
Quindi, nonostante il governo diffonda circolari che ricordano le quattro libertà stabilite dall'articolo 521 della Costituzione, la libertà di parola, di stampa, di riunione e di cortei, giorno dopo giorno il cappio si stringe attorno al collo dei cittadini che altri definirebbero, e in effetti hanno definito, «apoti». In casi particolari, come quello del professor Krug, si tenta di blandirlo promettendogli il posto del rettore Azureus, e con stipendio triplicato, facendogli intendere che l'offerta è di quelle irrespingibili, a meno di voler essere spedito in un campo molto simile a quelli di concentramento.
Krug, tuttavia, non recede dai propri propositi di autonomia nemmeno quando il ricatto lo colpisce nell'affetto più caro.E quando a Padukgrad va in scena lo scontro finale tra il buono Adam e il cattivo Rospo, il testimone oculare Nabokov fa calare il sipario su una recita di cui conosce a menadito ogni battuta.
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