Andiamo così di fretta che ci siamo persi persino l'Occidente

L'"odissea contemporanea" di un banchiere d'affari italiano diventa una summa del pensiero liberale. Ambiziosa e antistatalista

Andiamo così di fretta che ci siamo persi persino l'Occidente

Viviamo in un mondo che muta a grande velocità: nuove tecnologie, declino dei centri decisionali consolidati, crisi dello Stato sociale, mutamento dei quadri culturali. Attorno a questo intrico di trasformazioni è costruito il volume del ventottenne Michele Silenzi Mover. Odissea contemporanea (Liberilibri, pagg. 202, euro 12), un testo che unisce letteratura, memorialistica e analisi sociale sforzandosi soprattutto d'interrogare il presente.

Nelle sue riflessioni, l'autore elogia la complessità di una società senza frontiere la quale è tanto più inafferrabile quanto più dipende dalle scelte di innumerevoli persone: da tutti noi. Al fondo di queste riflessioni c'è allora una contrapposizione assai netta tra la vita, che per sua natura è incertezza e disordine, e la sopravvivenza, che può invece anche accontentarsi di un tirare avanti che già anticipa l'inesorabilità della fine.

Utilizzando la scrittura paratattica propria del tempo di Facebook e Twitter, l'autore invita ad accogliere la rivoluzione permanente di un universo che non è più l'Occidente da noi ben conosciuto e che forse non avrà mai più un'identità definita. Significativi i passaggi dedicati a New York: mai vista prima, nota da sempre (film, telefilm, romanzi, fumetti...), eppure ormai già antica. Oggi che il mondo di tradizione europea declina e non è chiaro cosa vi sarà dopo, New York è una sorta di Roma della modernità, quel che resta di quell'epoca in cui era ancora possibile trovarsi nel cuore del proprio tempo.

Negli scorsi anni Silenzi ha lavorato a Londra nella finanza e l'incipit del testo parla di numeri in movimento sullo schermo di un operatore di borsa. Quei prezzi sono il frutto di negoziazioni, il riflesso di miliardi di scelte, una fotografia (per quanto imperfetta, ma perché tutto è tale) dell'umanità presente e, per l'autore, di una perenne dissoluzione dell'essere nel divenire.

Leggendo queste pagine è chiaro come vi sia una sorta di attrazione nichilista in quest'esaltazione del cambiamento e dell'individuo singolo - «the mover», appunto - quale solitario protagonista di tutto ciò, ma al tempo stesso il libro abbraccia la realtà con gioia nel momento in cui celebra l'umanità nella sua capacità di agire, desiderare, costruire. Oltre alla fascinazione per questo universo mirabilmente incomprensibile che siamo tutti noi nelle nostre relazioni, vi è poi una netta difesa della libertà umana dinanzi al Potere.

Il volume è pubblicato da un editore, Liberilibri, che ha in catalogo Rothbard, Hoppe, Rand e larga parte del pensiero libertario. Non è un caso. L'antistatalismo sottende ogni pagina e per giunta Mover parla di una società sul crinale: tra due età e due generazioni. Michele Silenzi denuncia la retorica dei diritti sociali della modernità declinante perché sa che lo Stato opprime i giovani per provare a tutelare gli anziani. È assurdo immaginare garanzie e certezze in questo mondo che continuamente si distrugge e si rigenera, ma soprattutto è ingiusto farlo quando si usa la retorica dei diritti di cittadinanza per moltiplicare obblighi, catene e trappole. Quanti oggi lasciano l'Italia seguono la logica - anche quando non ne sono consapevoli - che è alla base delle riflessioni di Silenzi: non vogliono essere asserviti a chi ha costruito montagne di debiti pubblici e previdenziali.
Ugualmente spietata è la denuncia del moralismo di Stato e dello Stato stesso quale pretesa di dominio e manipolazione: quale ente che ci obbliga a riprodurre organi distrutti dal tumore sui pacchetti delle sigarette, che vigila sui nostri comportamenti alimentari, che entra nella stanza da letto. E così, in contrapposizione a tutto questo, non mancano pagine in cui un imprenditore inglese elogia la ricchezza e le opportunità che offre o in cui un disoccupato americano si dichiara vittima di politiche ambientali avverse al mercato.

Il politicamente scorretto è usato a piene mani e per certi aspetti la scrittura sembra ripercorrere le analisi di un conservatore di grande acume quale Kenneth Minogue, che nella stessa Londra in cui l'autore colloca gran parte delle sue riflessioni esaminava l'avvento di una «mente servile» incapace di fare scelte e pagarne le conseguenze, camminando sulle proprie gambe.

In talune pagine Mover è un compendio di teoria liberale, da Adam Smith a Hayek, così che è netta la denuncia di come l'aiuto uccida, la previdenza pubblica crei incertezza, la pianificazione generi il caos, la sanità di Stato moltiplichi i malati. Soprattutto è forte l'enfasi sulla strutturale ignoranza e sull'indefinitezza dei nostri limiti, da cui discende pure l'esigenza di restare attivamente connessi agli altri. Se l'uomo è naturalmente artificiale, la generazione attuale è chiamata a interrogarsi su quest'epoca lanciata oltre le colonne d'Ercole, fino al punto - perché di questo Silenzi è consapevole - che si possa «perdere di vista il nostro bisogno di toccare le cose. Siamo fatti di carne e sangue».

Questo Mover è un debutto

letterario, certo: con tutte le difficoltà di ogni inizio. Ma è soprattutto uno sguardo inedito su una società, la nostra, che si trova a fare i conti con sfide eccezionali, che il più delle volte fatichiamo perfino a percepire.

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