Chi era davvero il padre del pensiero liberale?

Intellettuale finissimo e acuto, Alexis de Tocqueville è genericamente conosciuto come il "padre del pensiero liberale". Ma chi era davvero?

Chi era davvero il padre del pensiero liberale?

Nel 1831, il visconte Alexis de Tocqueville – giovane magistrato parigino – era un uomo smarrito, in preda a una profonda crisi personale. Diversamente dalla famiglia, legittimista e fino all’ultimo fedele ai Borbone, aveva prestato giuramento agli Orléans; e tuttavia l’avvento della Monarchia di Luglio ne aveva congelato le prospettive di carriera. Nel considerare il nascente ordine politico, Tocqueville era dibattuto tra la lealtà all’istinto e alla coscienza di classe, che gli consigliavano di diffidarne, e quella alle proprie inclinazioni intellettuali, che suggerivano un atteggiamento di maggior apertura verso il nuovo assetto istituzionale – seppure non necessariamente verso i suoi interpreti. Si sentiva, perciò, isolato in patria; e persino esposto alle bizze della storia: “quando ho cominciato a vivere, l’aristocrazia era già morta e la democrazia non era ancora nata”, avrebbe scritto nel 1837.

Così, Tocqueville accolse l’incarico di recarsi con l’amico e sodale Gustave de Beaumont negli Stati Uniti, al fine di studiarne il sistema penitenziario, come una preziosa opportunità per allontanarsi dalle vicende francesi e guardare ad esse con maggior distacco. Non poteva, però, immaginare quanto il viaggio avrebbe influenzato la sua concezione di libertà; né quanto l’opera originata da quell’esperienza (La democrazia in America) avrebbe contribuito alla sua fama di pensatore. La prima parte, pubblicata nel 1835, incontrò un enorme successo, tanto da essere adottata come libro di testo nelle scuole statunitensi; la seconda, invero meno acclamata, consolidò la sua reputazione.

Il libro potrebbe essere definito come un trattato sull’autogoverno. Gli americani – nella ricostruzione di Tocqueville – si associavano per ogni fine; e molti dei compiti che in Francia sarebbero stati assolti – con maggior o minor successo – dal governo, erano in quel paese appannaggio di organizzazioni spontanee di cittadini. La natura magmatica del potere indebolisce quelle connessioni, le paralizza, le spezza: l’inganno del sovrano consiste nel mostrarsi come indispensabile, dipingendo le libertà di scelta e di associazione come strumenti residuali e non come la strada maestra per farsi carico dell’interesse generale. In un certo senso, per Tocqueville, libertà è partecipazione: non tanto ai riti politici, quanto ai legami sociali, unico e vero antidoto alla resa dell’individuo allo Stato.

Tocqueville è un autore citatissimo e altrettanto frainteso – Robert Nisbet denunciò i “molti Tocqueville” dipinti dagli interpreti. Due elementi hanno favorito tale esito. Da un lato, il francese sfugge alla parcellizzazione del sapere accademico: di formazione giuridica, approfondì l’economia sui testi di Say, ma s’interessò anche di filosofia – fu amico e corrispondente di John Stuart Mill – e di storia.La democrazia in America, opera pionieristica per il taglio sociologico e politologico, è il simbolo di questa rara versatilità. Dall’altro, il profilo ideologico di Tocqueville è, in qualche misura, sfumato dal solido sostrato positivo sempre presente nelle sue opere e dal ricorso a categorie flessibili come quella di “democrazia”; tuttavia, egli non fu mai timido nei giudizi normativi e qualificò con chiarezza il proprio quadro di riferimento: in particolare, fu sempre conscio dei limiti della democrazia e della sua possibile degenerazione in “tirannia della maggioranza” – espressione che non coniò, ma rese popolare. Fu accorto per indole, ma non alieno al radicalismo delle idee, come testimoniano – per esempio – i suoi giudizi sul socialismo.

Alle fatiche intellettuali – dal 1841 fu socio dell’Académie Française – affiancò un’intensa attività politica: deputato nel 1839, nel 1848 membro dell’Assemblea Costituente e, brevemente, ministro. Il suo impegno pubblico cessò, sostanzialmente, con l’arresto per l’opposizione al colpo di stato di Napoleone III, nel dicembre 1851. Pagò il prezzo di essere un “obsoleto amante della libertà, in un’epoca in cui chiunque desidera un padrone”. Si dedicò a L’antico regime e la rivoluzione, il cui secondo volume – incompiuto – fu pubblicato postumo.

Il 4 marzo 1859 scrisse all’amico Beaumont, pregandolo di raggiungerlo a Cannes, dove il deterioramento delle sue condizioni di salute l’aveva costretto a riparare: la fine si avvicinava. Tocqueville morì il 16 aprile: riposa nel villaggio normanno di cui porta il nome.

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