da Londra
Molte delle sue clausole originali sono obsolete, ma la «Magna Charta Libertatum», strappata a Giovanni Senzaterra il 15 giugno 1215 dai suoi baroni sull'orlo di una guerra civile, resta la carta fondamentale nella storia costituzionale inglese, un palinsesto storico prettamente feudale presto scivolato nel mito che ne ha offuscato l'origine, trasformandolo in un potente simbolo di giustizia e libertà nel mondo intero. La sua genesi ingarbugliata e l'evoluzione complessa sono raccontate dall'autorevole mostra allestita alla British Library di Londra per celebrarne l'anniversario che cadrà il 15 giugno e che vede in Inghilterra un fiorire di eventi, convegni e nuovi studi biografici sul controverso sovrano angioino.
Quando i baroni d'Inghilterra, sfiniti da un sovrano senza scrupoli, dalle estorsioni fiscali e dalle sue sconfitte militari e diplomatiche con la Francia, gli presentarono la bozza del documento durante il celebre incontro nella brughiera di Runnymede, non lontano dal castello di Windsor, essi non proponevano leggi nuove né teorie rivoluzionarie su diritti e libertà. Intendevano soltanto ripristinare i diritti e privilegi feudali già in precedenza garantiti alla Chiesa, ai nobili e alla comunità, prevenirne la violazione da parte della Corona, opporre insomma il baluardo della legge di consuetudine al capriccio del re. Il quale, apposto il sigillo con un gesto pragmatico, annullò il documento poche settimane dopo in seguito alla bolla pontificia del 24 agosto 1215, da lui stesso abilmente sollecitata, in cui Innocenzo III disconosceva la Carta, definendola «illegale e ingiusta, un oltraggio alla Chiesa apostolica, alle prerogative reali, agli inglesi, un grave pericolo per l'intera impresa delle Crociate». Dopo l'immediata invasione francese che seguì, non osteggiata dai baroni ribelli, e la successiva morte del sovrano, avvenuta il 19 ottobre del 1216, il documento fu riproposto in diverse versioni riviste e corrette, prima sotto il regno di Enrico III dal suo reggente, il fedele conte di Pembroke, fino all'ultima versione che si conosca, la Confirmatio Cartarum del 1297, redatta in francese normanno e sancita dal suo successore Edoardo I, non a torto definito «il Giustiniano inglese».
Alcuni articoli furono abrogati ma i punti fondamentali sono rimasti costanti: le 63 clausole imponevano al sovrano il divieto di tassare i vassalli diretti senza il consenso di un comune consilium regni , regolamentavano la legge consuetudinaria «della foresta» abolendo i demani regi, garantivano le antiche libertates della città di Londra, dei porti e dei borghi, e soprattutto il primo articolo garantiva l'integrità e la libertà della Chiesa inglese dalle interferenze della Corona, mentre gli articoli 39 e 40 (tuttora vigenti nell'ordinamento inglese) garantivano a tutti gli uomini di condizione libera di non essere imprigionati senza un regolare processo da parte di una corte di «pari» o secondo la «legge del regno». Nasceva lo Stato di diritto, ma erano leggi che risalivano alle antiche norme dei re anglosassoni codificate 600 anni prima dell'incontro di Runnymede, come testimoniano alcuni codici miniati nella mostra «Magna Carta: Law, Liberty, Legacy» (fino all'1 settembre). Protagonisti due dei quattro esemplari originali della Magna Carta, gli altri due sono conservati nelle cattedrali di Salisbury e di Lincoln. La rassegna riunisce 200 fra oggetti, armi, sculture, codici medievali e manoscritti autografi dal 1200 fino alle odierne copie digitalizzate del web.
Ma il massimo del fascino lo si trova nelle teche dove si può quasi toccare la storia osservando, in una miniatura del Liber Legum Antiquorum Regum del 1300, il dinamico ritratto di re Giovanni a cavallo mentre con i suoi cani insegue un cervo, ammirando il suo magnifico corno da caccia in avorio e argento, il sigillo reale che faceva apporre ai documenti (il sovrano sapeva leggere ma forse non scrivere) accanto all'unica copia originale della bozza nota come Articles of the Barons del 1215, la bolla di Innocenzo III dell'aprile 1214 in cui il papa si dichiara «signore» d'Inghilterra al di sopra del re, e infine le due pergamene originali della Magna Carta del 1215: sono 4000 parole scritte in una grafia fitta e illeggibile, messe accanto a repliche tarde.
Nella seconda parte la mostra illustra le interpretazioni della Magna Carta lungo i secoli. Dal giurista Sir Edward Coke che la invocò nelle lotte parlamentari contro la tirannia dei re Stuart imbastendo la condanna a morte di Carlo I, visibile una copia dei documenti del processo del 1649, all' English Bill of Rights del 1689, la dichiarazione dei diritti approvata dal parlamento dopo la rivoluzione del 1688, oggi considerato il successore della Magna Carta. Nelle colonie inglesi i ribelli la fecero propria durante la rivolta contro Giorgio III per gettare così le basi della Dichiarazione d'Indipendenza, di cui vediamo la copia autografa di Thomas Jefferson del luglio 1776. Fra i documenti americani più recenti ispirati alla Magna Carta, ecco la «Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo» del 1948, definite da Eleanor Roosevelt «una Magna Carta per tutta l'umanità».
Vista retrospettivamente, la giornata di Runnymede nel 1215 apriva la strada verso la democrazia liberale.
All'involontario e riluttante protagonista, il diabolico re Giovanni Senzaterra, uomo forte, di grande inventiva e di rara perfidia, due autorevoli storici inglesi dedicano due nuovi studi divergenti, di Marc Morris King John, Treachery, Tyranny and the Road to Magna Carta (Londra, edizioni Hutchinson) e di Stephen Church King John: England, Magna Carta and the Making of a Tyrant (Londra, Macmillan). Per spiegarne la politica e in parte riabilitarne (con scarso successo) la vita.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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