Diritto, giustizia, libertà. Le idee non dogmatiche di un grande pensatore

Rispetto a tanti sacerdoti del potere e cantori delle istituzioni, Ratzinger è più realista e consapevole della nostra fragilità

Diritto, giustizia, libertà. Le idee non dogmatiche di un grande pensatore

È un'eredità intellettuale preziosa quella lasciataci da papa Benedetto XVI nel corso del suo papato e di questo offre testimonianza il volume La legge di re Salomone (prefazione di Giorgio Napolitano, edizioni Bur) curato da Marta Carabia e Andrea Simoncini, i quali hanno riunito alcuni suoi interventi sul diritto e sulla giustizia, accompagnandoli con i commenti di vari studiosi. I testi di Joseph Ratzinger antologizzati nascono da distinte e specifiche circostanze, ma sono accomunati dalla volontà di riflettere sul rapporto tra la dimensione razionale e la fede cristiana, tra la libertà dell'uomo e gli interrogativi fondamentali.

A più riprese emerge quanto sia cruciale il tema della libertà religiosa: intesa come possibilità di praticare la propria fede o anche di non praticarla, dato che Ratzinger non ammette che l'uomo sia mutilato nella sua facoltà di errare e di perdersi. In questo senso è chiara l'adesione a una prospettiva genuinamente pluralista, che proprio perché tale deve consentire a ogni uomo di tradurre integralmente nella sua quotidiana esistenza ciò in cui più crede e ciò che dà senso alla vita.
Nel discorso tenuto al Palazzo di Vetro dell'Onu nel 2008 è soprattutto focalizzata l'attenzione sull'esigenza di ricollocare la giustizia al di sopra della semplice legalità. Gli uomini hanno bisogno di leggi ed elaborano regole di convivenza, ma va tenuta presente la strutturale imperfezione di ogni sistema legale. C'è una verità che sta al di sopra delle leggi degli uomini e qualche volta le condanna.

Questa difesa di esigenze storicamente interpretate dal diritto naturale aiuta a comprendere meglio il più noto tra gli interventi antologizzati, quello di Ratisbona, già all'origine di tensioni con una parte del mondo islamico. Tornato nella sua università, nel 2006 il teologo sottolineò con forza la necessità di quell'incontro «tra fede e ragione, tra autentico illuminismo e religione» che può svilupparsi solo se si muove «veramente dall'intima natura della fede cristiana e, al contempo, dalla natura del pensiero greco fuso ormai con la fede». Papa Benedetto XVI evoca il Logos giovanneo, ma anche Agostino e Tommaso, per formulare le proprie riserve nei riguardi del volontarismo prima francescano e poi protestante, che pretesero di difendere la religione svalutando la razionalità. Per Ratzinger questa opposizione non è ammissibile ed egli ricorda come al cuore della tradizione europea e della storia cristiana vi sia il dialogo tra Atene e Gerusalemme: un confronto che affida proprio alla teologia il compito d'interrogare i motivi della speranza e della fede.

Da pontefice e pastore, Ratzinger si esprime sempre con grandi rispetto dinanzi alle assemblee che l'hanno invitato, ma egualmente non rinuncia a ricordare che vi sono esigenze di ordine etico che nessun voto democratico può annullare. E così egli evoca Tommaso Moro dinanzi al parlamento di Westminster e fa un riferimento molto critico ed esplicito, parlando al Bundesrat tedesco, alle tesi di Hans Kelsen, sottolineando l'esigenza di un dibattito pubblico che non sacralizzi le leggi, lasciando spazio alla coscienza e ai suoi interrogativi.

A più riprese, il diritto è riconosciuto quale luogo aperto al confronto, ma proprio per tale ragione viene contestata l'idea che una società libera implichi la «neutralizzazione» dello spazio pubblico: quella pretesa che - come sottolineano i due curatori - domina larga parte della filosofia politica contemporanea. In uno dei commenti che compongono il volume, Mary Ann Glendon rileva che la lezione ratzingeriana aiuta a comprendere come esista un abisso che separa la laicità di una società liberale (quale è quella americana), in cui a nessuno è chiesto di abdicare ai propri principi, e il laicismo intollerante di stampo francese, che si regge su una celebrazione dello Stato.

Un tratto più di altri sembra caratterizzare l'ispirazione di Benedetto XVI: ed è il suo agostinismo. Non solo egli riafferma quanto sia razionale l'atteggiamento di chi non rinuncia a credere, ma soprattutto sottolinea l'irriducibilità della nostra esistenza più autentica alle logiche del potere umano. L'ordine secolare non è negato o condannato, ma appare chiaro che nelle città in cui trascorriamo la nostra esistenza saremo sempre un poco stranieri. Anche da qui consegue che le questioni della giustizia e dell'ordine sociale devono essere collocate nel loro ambito specifico, evitando ogni assolutizzazione. Confrontato a tanti sacerdoti del Potere e a tanti cantori delle Istituzioni civili, Benedetto XVI appare assai più consapevole della fragilità umana e assai più realista di fronte alle imperfezioni del mondo che ci circonda.

La prospettiva che emerge dagli scritti ratzingeriani aiuta insomma a «relativizzare il relativismo»: accogliendo l'umiltà intellettuale di chi pensa che

nelle questioni umane non abbiamo verità assolute, ma al tempo stesso demitizzando ogni scetticismo radicale e riconoscendo l'importanza di quella sete di conoscenza che invece è parte integrante della natura di ogni uomo.

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