Il 2 giugno 1915 Antonio Salandra pronunciò in Campidoglio, nella bella sala degli Orazi e Curiazi, un celebre e appassionato discorso per illustrare le motivazioni che avevano spinto l'Italia a imbracciare le armi. Disse che la guerra, appena iniziata per l'Italia, era «santa» e si combatteva «a tutela delle più antiche e più alte aspirazioni, dei più vitali interessi della patria». Aggiunse che sarebbe stata «più grande di qualunque altra la storia» ricordasse e che avrebbe coinvolto tutti gli italiani. Per dare al discorso il carattere di un solenne atto di governo era stato scelto un giorno non festivo. Salandra aveva lavorato al discorso per due mattinate, ma gran parte di esso fu pronunciato a braccio sulla base di appunti. Cionondimeno ebbe successo e piacque persino a Benedetto Croce non certo tra i fautori dell'intervento, che vi trovò parole «veramente da italiano, da italiano antico e moderno, insieme borghese nel miglior senso della parola» e del quale gli piacque «quell'assenza completa di fanatismo nazionalistico, quella concezione patriottica e umana insieme, che è una delle più belle note dell'italianità».
Salandra era succeduto a Giolitti nel marzo 1914. Aveva superato i sessant'anni e aveva alle spalle una lunga carriera politica: eletto deputato per la prima volta nel 1886, aveva poi ricoperto più volte incarichi di sottosegretario e ministro. Era, anche, uno studioso illustre di diritto amministrativo, formatosi culturalmente alla scuola di Francesco De Sanctis e di Silvio Spaventa. Liberal-conservatore, si era battuto per «l'unione di tutte le forze liberali» contro i partiti estremi e, formando il governo, si era ispirato al principio di creare una «concentrazione liberale» alla quale partecipassero esponenti della sinistra zanardelliana, del centro e della destra.
Interessato soprattutto alla politica interna, all'amministrazione, al rafforzamento dello Stato e alla costruzione del grande partito liberale, si trovò subito a dover gestire la posizione dell'Italia, allora legata dalla Triplice Alleanza all'Austria-Ungheria e alla Germania, di fronte alla guerra scoppiata nell'estate del 1914. La sua prima scelta fu la neutralità, il 3 agosto di quello stesso anno. Poi venne, l'anno successivo, dopo le «radiose giornate» del maggio 1915, la decisione di prendere parte al conflitto per portare «a compimento il Risorgimento» ed «elevare l'Italia alla realtà di grande potenza».
Proprio al periodo compreso fra la scelta neutralista e quella di entrare in guerra Salandra dedicò un importante volume di «ricordi e pensieri» intitolato L'intervento che la Fondazione Biblioteche Cassa di Risparmio di Firenze ha ristampato in una curata edizione anastatica e che verrà distribuito gratuitamente a tutti i partecipanti al grande convegno Niente fu più come prima. La Grande Guerra e l'Italia cento anni dopo , che si svolgerà a Firenze il 13 e 14 marzo.
L'opera è una testimonianza che ricostruisce, sulla base dei ricordi di un protagonista e sulla documentazione, le trattative con l'Austria e quelle con l'Intesa, la stipulazione dell'accordo di Londra, le battaglie in piazza e in Parlamento fra neutralisti e interventisti, la crisi del maggio 1915, gli estremi tentativi diplomatici per evitare l'ingresso in guerra e le fasi della mobilitazione militare e civile.
Salandra aveva cominciato a pensare che la neutralità fosse destinata a finire quando «l'ambizioso piano germanico della guerra di poche settimane» si era infranto sulle rive della Marna. C'erano, quindi, state, prima, la crisi governo per divergenze sul finanziamento del piano militare e, poi, la formazione del nuovo gabinetto del quale entrarono a far parte personalità come Vittorio Emanuele Orlando e Sidney Sonnino. Quest'ultimo, nominato ministro degli Esteri, era legato a Salandra da una trentennale amicizia e da una «solidarietà politica» in nome di una concezione «forte» del liberalismo e della necessità di un «ritorno allo Statuto» per recuperare o tonificare il prestigio e l'autorità dello Stato. I veri protagonisti dell'attività diplomatica svolta in maniera sotterranea nei difficili e drammatici mesi compresi fra il novembre 1914 e la primavera del 1915 furono, proprio, loro due, Sonnino e Salandra. Questi lo riconosce senza mezzi termini: «del bene e del male a noi due spetta l'onore e il biasimo». Le trattative con Vienna e Berlino iniziarono nel dicembre 1914 ma si arenarono per l'insufficienza dei compensi offerti all'Italia dalle potenze della Triplice. Quelle con l'Intesa, che avrebbero portato al Patto di Londra e all'impegno italiano a entrare in guerra entro un mese, cominciarono all'inizio di marzo.
La descrizione che Salandra fa della crisi di maggio è precisa e ricca di chiaroscuri. Il fronte interventista era costituito da intellettuali e studenti, nazionalisti, irredentisti, sindacalisti rivoluzionari. Era, per così dire, un vario interventismo raccolto attorno al progetto di completare l'unità nazionale e assicurare all'Italia un ruolo paritario fra le potenze. A esso si contrapponeva il fronte neutralista comprendente liberali giolittiani, socialisti e cattolici. Sottolinea Salandra come la spinta venisse proprio dal Paese: «mentre i neutralisti tenevano il campo a Montecitorio, gli interventisti occupavano le piazze». Poi, finalmente, ci fu la dichiarazione di guerra contro l'Austria.
Dal volume emerge la personalità di un uomo che, liberale con una visione conservatrice della politica in linea con la tradizione della Destra storica, segnò la fine dell'età giolittiana e del tentativo di Giolitti di proporre un liberalismo fondato sull'arte del compromesso e sulla prassi della mediazione.
Con la sua «politica nazionale» contrapposta alla «sana democrazia» di Giolitti, Salandra diventò il naturale punto di riferimento della «borghesia liberale» costituita dai nuovi ceti medi sorti dal processo di industrializzazione e modernizzazione dell'Italia postunitaria.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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