Oggi scoccano i duecento anni dalla Rivoluzione danese, che è l'esatto opposto della Rivoluzione francese. Dove la Rivoluzione francese era «l'uno per tutti», l'appiattimento dell'individuo sulla società, la Rivoluzione danese ha la faccia pulita, luminosa, quasi «santa» a dispetto dei molti tormenti (anzi, forse grazie a questi) di Søren Aabye Kierkegaard, nato a Copenaghen, appunto, duecento anni fa.
La Rivoluzione danese, condotta in prima e unica persona da un uomo, fu una rivoluzione filosofica. Prima e al posto di ogni sistema, viene il singolo. Prima e al posto di ogni scuola, viene l'uomo, maestro e allievo di se stesso. Prima e al posto di ogni disputa, retorica e sofistica, viene la gioia e l'angoscia del quotidiano. E infine, dopo e al posto di ogni dato acquisito dalla ragione, viene il Timore e tremore di fronte a Dio. Dopo la dimensione estetica incarnata dal «seduttore» (e dal suo Diario, opera che descrive il lato castamente libertino di Kierkegaard) e dopo quella etica, esaminata, in contrapposizione all'altra, in Aut-Aut, avviene il salto... non nel buio, ma nella luce della dimensione del Divino. Scandalosa negazione di ogni sistema, di ogni disputa e di ogni dato razionale, quello sbocco non cercato ma trovato certifica il suo pensiero esistenziale (non necessariamente esistenzialista). Perché uscita dalla porta, l'inquietudine umana rientra dalla finestra aperta per arieggiare e illuminare i bui locali della tua casa.
«Io ho un solo amico, è l'eco: e perché è mio amico? Perché io amo il mio dolore e l'eco non me lo toglie. Io ho un solo confidente, è il silenzio della notte. E perché è il mio confidente? Perché il silenzio tace». L'eco è metafora di ciò che è tuo, in quanto riflesso della tua voce, e insieme non tuo, il gentile o crudele omaggio della Natura.
Amare il proprio dolore è, in fondo, l'unica pacificazione possibile per chi si trova gettato, non ancora heideggerianamente, ma almeno cristianamente, nel mondo.È questa la Rivoluzione danese di Søren Aabye Kierkegaard, consapevole del fatto che se la vita «va vissuta in avanti», «può essere capita solo all'indietro».
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