Professor Alfonso Berardinelli...
«Ho rinunciato allo stipendio universitario per non essere più chiamato professore. Lasci stare, ce ne sono troppi. Se non sei professore, guardi l'esaltazione di Eco, non sei nessuno».
Le piace Eco?
«Ho interrotto Il nome della rosa a pagina cinquanta, più o meno, quando sono arrivato alla descrizione di una cattedrale gotica, una descrizione così scadente, non solo dal punto di vista linguistico e stilistico ma anche storico, nonostante l'autore sia stato un medievista, che sembrava fatta da un ragazzino. Non è un problema di suspense: il vero narratore si fa leggere anche se racconta come si fa la barba la mattina, è proprio una questione di cattiva scrittura... E comunque non sono appassionato di rebus e gialli...».
In Italia si scrivono molti gialli.
«C'è solo da ridere. Non c'è un magistrato in Italia che non mediti di diventare scrittore. Pensi a Carofiglio. Gli editori non sanno più come smerciare libri e vanno dietro il successo di Andrea Camilleri. Il giallo è un'etichetta molto utile per vendere. Il lettore medio non è in grado di capire da solo di che cosa parla un libro. Se invece gli viene venduto come romanzo erotico o giallo o giallo-erotico o giallo-storico, allora si tranquillizza e lo compra. Per il libro valgono le regole del marketing come per qualsiasi prodotto: se sull'etichetta c'è scritto dolce, il cliente lo sentirà dolce, se c'è scritto amaro, lo sentirà amaro. Da solo il lettore non capisce che sapore ha un libro».
Ci vogliono i critici.
«Da vent'anni la critica non è più in grado di mettere ordine nei fenomeni letterari. Narrativa e poesia si sono così dilatate da essere entità senza forma né confini. Tutti scrivono e nessun critico può leggere tutto. Quello che circola oggi è letteratura? Resta il nome della cosa ma la cosa non è più identificabile come avveniva fino alla generazione degli autori nati grossomodo tra il 1920 e il 1930. Ricevo almeno un libro di poesia o un romanzo al giorno, ma se provo a leggere le prime dieci pagine mi rendo conto che chi scrive romanzi non sa cos'è un romanzo e chi scrive poesie non sa cos'è una poesia. La ragione è che chi scrive letteratura non ne ha un'idea perché non ne ha letta abbastanza, neppure il minimo indispensabile. Scrivono perché credono nella naturale creatività dell'essere umano, scrivono perché sentono che è un diritto».
E così si pubblica troppo.
«Se l'editoria rifiutasse di pubblicare almeno i due terzi di quello che pubblica, si riuscirebbe a fare un po' di chiarezza. Ma dato che escono cose impubblicabili, perché sono illeggibili, la confusione aumenta. Ogni libro brutto o insulso che viene pubblicato ne produrrà altri dieci simili, e chi legge questa roba si convince di essere capace di fare altrettanto e prima o poi lo fa. Non solo lo fa, ma non smette di farlo».
E così si scrive troppo.
«Manzoni scrisse un romanzo, e così De Roberto e Tomasi di Lampedusa... Svevo tre, Morante quattro in tutta la vita. Oggi quasi tutti i narratori in circolazione già a 50 anni ne hanno scritti una decina. Scrivono per il premio Strega, se non lo vincono si sentono merde, dei perdenti, degli sfigati. Il romanzo è un artigianato che si impara se si ha il senso del rapporto con il lettore. Non si impara mai se non ci si accorge di essere mortalmente noiosi. E poi conta la scelta della cosa da raccontare, il vero narratore sa scegliere perché riesce a scrivere bene solo se si è scelta la cosa giusta da raccontare. Così facevano i classici».
E i classici del presente?
«Non esistono i classici del presente, per definizione. Se uno scrittore è contemporaneo non può essere classico. E anche l'aggettivo grande applicato a uno scrittore di oggi mi sembra inopportuno. Aspettiamo il futuro. Ai nostri occhi sembra un classico chi ha molto successo, ma nella storia della letteratura molti classici non ebbero un gran successo in vita, o addirittura alcun successo. Si dovrebbe sempre ricordare che il più sicuro classico del '900, Kafka, scrisse prevalentemente appunti e diari, non aveva alcun programma di opere e chiese che i suoi romanzi inediti fossero bruciati. Non chiedo a chi vuole diventare scrittore oggi di imitare Kafka, non si potrebbe, ma almeno di riflettere ogni tanto su di lui e sulle ragioni della sua esemplarità».
E la poesia?
«È un caso disperato. Sono decenni che il 90% della poesia che si pubblica non è né brutta né bella. È nulla. Nessuno potrebbe leggerla, per questo non ha lettori! C'è poco da lamentarsi. Il Novecento tra ermetismo e neoavanguardia ha fatto danni irreparabili. Si scrive a caso, senza orecchio, senza tecnica e non sapendo cosa scrivere. La poesia è diventata il genere letterario di chi non sa scrivere. Una delle cose peggiori è la fame di identità, di auto-identificazione. Si vuole essere romanzieri e poeti e non si accetta di scrivere soltanto il poco che si ha veramente bisogno di scrivere. Anche i migliori scrivono troppo, lo fanno per non farsi dimenticare. Il meglio anche di autori come Calvino o Pasolini non supera secondo me le due-trecento pagine. Invece nei Meridiani hanno avuto ognuno una decina di volumi».
Ora è uscito il Meridiano di Gianni Celati.
«Che dire? Mi sembra prematuro. Ma dato che è uscito un Meridiano di Eugenio Scalfari vuole dire che tutto è permesso. Anche Camilleri ha un Meridiano: è la dimostrazione che si considerano classici scrittori di successo».
E invece chi sono i classici?
«Gli autori che hanno un legame significativo con la storia, innanzitutto, anche se letterariamente valgono poco. Marinetti e Soffici oggi sono illeggibili, ma almeno sono importanti storicamente, perlomeno sono un oggetto di studio, il che li rende pubblicabili in una collana di classici. Se decido di fare una collana di classici del presente - quale che sia, i Meridiani o la Bianca Einaudi o i Classici moderni Mondadori - inevitabilmente finisco nell'arbitrio... Perché, in poesia, Edoardo Sanguineti sì e Patrizia Cavalli, che io reputo migliore, no? Perché, nella narrativa, Celati sì e Cavazzoni no, che è anche più comico? O perché non Tabucchi, che è anche morto?».
Perché non La Capria o Arbasino?
«Loro ci starebbero bene, sono entrambi storicizzati.
Anche se preferisco il primo al secondo: Arbasino ha scritto troppo, è incontenibile, anche nel parlare».Perché non Busi o Moresco?«Perché se pubblicassero Busi o Moresco nei Meridiani tutti gli scrittori italiani viventi farebbero i sit in di protesta davanti a Segrate. Non si può...».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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