La falsa utopia del cemento Quelle periferie "sinistre"

Le violenze dei quartieri ai margini della città sono figlie del degrado. Ma dietro quei ghetti ci sono le menti migliori dell'urbanistica comunista

La falsa utopia del cemento Quelle periferie "sinistre"

Il problema è sempre a monte . O in periferia. Ma la causa di tutto resta al centro. E il centro del problema è che, se è vero che dietro gli episodi di rivolta e violenza nelle periferie di Roma o Milano c'è il disagio di un grande numero di persone economicamente sofferenti costrette a sopravvivere in un'area ristretta e isolata rispetto al resto della città, terreno di coltura per prostituzione, droga e degrado, con in più magari l'onere di urbanizzazione di un centro di accoglienza per immigrati, è altrettanto vero che queste anti-città, cimiteri di cemento&graffiti per vivi, qualcuno le ha pur volute, progettate e costruite.

Dietro l'aggressività e il malessere delle nostre periferie c'è - oltre la speculazione edilizia e l'affarismo che non hanno colore politico - la bruttezza e il disagio di territori deboli dal punto di vista architettonico e urbanistico. Questo lo sappiamo tutti. Ma dietro la mala urbanistica, chi c'è? Questo non ce lo chiediamo mai. Chiunque intuisce che gli alveari umani in formato casermoni producono deserto sociale e giungle criminali. Ma nessuno si chiede chi siano gli autori di quei lager abitativi nelle periferie metropolitane che tutti giustamente deplorano.

La distanza tra centro e periferia è inversamente proporzionale a quella tra incuria fisica e degrado morale. Immensa la prima, minima la seconda.

I quartieri caratterizzati dall'edilizia economica e popolare, realizzati soprattutto tra gli anni Sessanta e Settanta, senza più alcun legame organico con la tradizionale idea di città, hanno generato, sorta di figliastri illegittimi e abusivi, l'aggressività, la microcriminalità, i conflitti sociali. Senza ipocrisie, gli stessi intellettuali che condannano le periferie-ghetto, oggi dovrebbero chiamare in giudizio i loro padri.

Chi ha pianificato e realizzato il Corviale di Roma e lo Zen a Palermo? Rozzano a Milano o le Vele di Scampia, a Napoli? San Paolo, a Bari o le Vallette e Falchera a Torino, o il Biscione a Genova? E ogni città italiana potrebbe citare il proprio quartiere periferico nato con le più eleganti intenzioni architettoniche e sprofondato nella invivibilità nel migliore dei casi, nell'abbruttimento sociale nel peggiore. Dovevano essere nuove mirabili comunità umane, sono spaventose decrepite gabbie-dormitorio. Le hanno progettate Vittorio Gregotti (lo Zen), Mario Fiorentino (Corviale), Franz Di Salvo (le Vele), e poi - a Tor Sapienza a Roma, a Genova, a Bologna, a Torino, a Terni, a Le Piagge a Firenze - architetti, urbanisti e progettisti che quando non erano comunisti ispirati a modelli sovietici erano «modernisti» progressisti, organici o vicini ai partiti della sinistra, comunque nominati dalle giunte amiche. L'egemonia culturale, in Italia, è passata anche dai Piani regolatori.

Gli edifici avevano disegni creativi, ma l'ideologia che li cementava era fortemente orientata. Una ideologia-visione deviante, al di fuori della tradizione italiana. E i risultati - con l'aiuto di palazzinari senza scrupoli e l'abusivismo democristiano, che completarono il disastro - sono i quartieri degradati che oggi tristemente conosciamo.

Peggio dei sindaci più interessanti a pedonalizzare il centro storico che a umanizzare le periferie, ci sono solo gli architetti che hanno creduto all'utopia «comunitaria». Per loro un attico in via del Tritone, a tutti gli altri loculi e ballatoi comunitari.

Già dieci anni fa, da sinistra (!), l'archistar Massimiliano Fuksas sferrò un attacco micidiale alle «soluzioni militari» adottate per le periferie italiane «tutte nate nell'ambito della cultura di sinistra». Le periferie, dal Corviale di Roma allo Zen a Palermo - disse - sono figlie della stessa utopia: dare un ordine al mondo, trovare un modello per il mondo. Ma nessuno di quei modelli ha mai funzionato. «L'errore era nell'idea di partenza: aggregare artificiosamente persone estranee tra loro che spesso non si amano nemmeno e finiscono, tutti insieme, per odiare te che li hai deportati in quel luogo estraneo e rigido».

E oggi - che di quell'utopia restano le macerie, e non solo metaforiche - arrivano a disprezzare anche gli ultimi arrivati, nuovi deportati - neri, slavi e arabi - nel ghetto dei reclusi bianchi. Un anno fa, Paolo Portoghesi, geoarchitetto della decrescita, sentenziò in una famosa intervista: «La sinistra ha tradito l'urbanistica». Demolendo un'utopia marcia fin dalle fondamenta.

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