Friedrich Schiller, il poeta della libertà

È sufficiente passare qualche ora a Weimar per avvertire in che modo Friedrich Schiller ha saputo incarnare lo spirito liberale e borghese della Germania del XVIII secolo

Friedrich Schiller, il poeta della libertà

È sufficiente passare qualche ora a Weimar, visitare la casa in cui visse e farsi conquistare dello magia del luogo per avvertire in che modo Friedrich Schiller ha saputo incarnare lo spirito liberale e borghese di quella Germania che poi verrà spazzata via dalla reazione nazionalista successiva all’invasione napoleonica. Eppure quel tipo di sensibilità seppe reggere a lungo se è vero, come disse l’amico Johann Wolfgang Goethe, che egli “influì come nessun altro sulla formazione del borghese ottocentesco di media cultura”.
Figlio di un medico dell’esercito e cresciuto all’interno di un ambiente luterano, il giovane Schiller ha la possibilità di studiare – nonostante le difficoltà economiche della famiglia – grazie all’interessamento di Karl Eugen, duca del Wüttemberg, il quale comprende di avere a che fare con un giovane fuori dal comune. Mentre va conducendo studi di medicina, a soli ventidue anni scrive "I Masnadieri", un’opera che ne rivela al mondo le qualità, ma che sarà per lui la fonte di non pochi problemi. Dopo la “prima” iniziano infatti una serie di peripezie che lo portano anche a disertare dall’esercito (era ufficiale medico) pur di dedicarsi alla letteratura.
Nel suo vagabondare si trasferisce a Lipsia, Dresda e Weimar, fino a quando nel 1787 scrive "Don Carlos", che lo colloca a pieno titolo tra le massime espressioni del nuovo movimento Sturm und Drang, di cui interpreta l’anima libertaria. Come ha sottolineato Lesley Sharpe, la dimensione politica dei testi teatrali schilleriani è evidente, dato che le sue opere “hanno a che fare con la libertà e la tirannia, i rapporti di potere e responsabilità, le relazioni tra fini e mezzi nella vita politica, e con la sfida con cui devono confrontarsi quanti sono chiamati ad agire sul teatro della storia se vogliono preservare umanità e integrità”.
Grazie all’amicizia di Goethe – conosciuto nel 1788 – e alla sua intercessione, nel 1789 ottiene la cattedra di storia e filosofia all’università di Jena ed è per questi corsi che scrive "La legislazione di Licurgo e di Solone". Dopo un ampio lavoro storico sulla Guerra dei Trent’anni, inizia quindi a lavorare a una trilogia teatrale ambientata in quel contesto e dedicata a Wallenstein: "Il Campo di Wallenstein", "i Piccolomini", "La morte di Wallenstein".
Nel 1799 torna a Weimar, dove assieme a Goethe prende la direzione del teatro granducale, che presto diventa il cuore della nuova arte teatrale tedesca e segna la rinascita del genere drammatico. Per questa istituzione scrive alcuni dei suoi maggiori capolavori: "Maria Stuarta" nel 1800, "La pulzella d’Orléans" nel 1801, "La sposa di Messina" nel 1803 e il "Guglielmo Tell" nel 1804. Muore il 9 maggio 1805, sempre a Weimar, a causa della tubercolosi.
Riletto ora, Schiller sorprende per il suo saper unire una passione nutrita di umori romantici e il più radicale rigetto di ogni mistica patriottica. Come scrisse Jeffrey L. Sammons, “Schiller fu immune dal sentimento nazionalista” dato che “per lui l’invasore aveva sempre torto”. La dimensione tragica di molte sue opere è proprio connessa alla difficile lotta di quanti vogliono sottrarsi a un dominio. E in questo senso è anche significativa – basti pensare al modo in cui, nel "Guglielmo Tell", tratta il mito delle origini della Svizzera – la scelta dei materiali storici e leggendari che utilizza nell’elaborazione dei propri testi drammatici.
Non sorprende allora che uno tra i massimi liberali del Novecento, l’economista austriaco Ludwig con Mises, abbia usato espressioni molto elogiative all’indirizzo di questo autore, evidenziando il ruolo che giocò nella cultura liberale del tempo: “Schiller divenne il poeta preferito dalla nazione; nella sua entusiastica devozione alla libertà i tedeschi trovarono il loro ideale politico”. E ancora oggi, pur entro un contesto culturale del tutto mutato, la sua continua a rappresentare una delle voci più affascinanti della cultura europea tra Sette e Ottocento.

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