In un mondo in cui tutti vorrebbero vivere una giovinezza infinita, cantarne il contro-elogio appare un atto di coraggio sfrontato. Farlo oltre cinquant’anni fa, addirittura prima che il mito dell’eterna jeunesse infiammasse il cuore agli imberbi studenti del Sessantotto, ha il profumo dell’anti profezia fuori tempo minimo.
Coraggioso, sfrontato, fuori tempo, in odore di eresia intellettuale perenne, Robert Poulet (1893-1989) - giornalista, romanziere, polemista, pamphlettista, cineasta, critico letterario e soprattutto belga - tra le tante idee correnti che ribaltò nei suoi libri c’è il luogo comune che la vita sia una breve iniziale esplosione di energia e bellezza cui segue un lungo, malinconico, insopportabile declino. Tutti pensano che l’infanzia sia sacra, e la gioventù la stagione più straordinaria dell’esistenza. Bene, lui teorizzò l’esatto contrario. Contrario a tutto e insopportabile a quasi tutti, Robert Poulet nel giro di un quinquennio, tra il 1962 e il 1967, tirò una sequenza di ganci micidiali a quattroidola del ben pensare borghese, e poi inflisse un umiliante knock-out alla borghesia stessa: Contre l’amour (1962), Contre la jeunesse, appunto (1963), Contre la plèbe (1967), un anti-futurista Contrel’automobile (1967) e quindi - firmato con particolare astio, essendo figlio della piccola borghesia cattolica belga - un J’accuse la bourgeoisie (1978) talmente sulfureo che da noi in Italia non è stato ancora tradotto (gli altri uscirono dall’editore Giovanni Volpe fra il ’67 e il ’69).
Scorrettissimo, anti-politico, avverso a tutto e tutti, Poulet era un uomo vulcanico e irritante. Nato a Liegi nel 1893, studiò - cosa di non poco conto vista la sua straordinaria abilità retorica - dai gesuiti, uscì dall’Università come ingegnere minerario. Poi combatté durante la Prima guerra mondiale: volontario, ufficiale capo pattuglia, due ferite, una evasione. Dopo la guerra fece dieci anni nel cinema: regista, attore, sceneggiatore. Quindi viaggi in Asia e in Africa... Ma la scrittura è un demone, e la politica una vocazione. Giornalista influenzato da CharlesMaurras e dall’Action Française, rigorosamente anticomunista (nel ’34 firmò il saggio La révolution est à droite), durante il secondo conflitto mondiale fu direttore del foglio collaborazionista Le Nouveau Journal. Caduta la Germania hitleriana, giustificò l’appoggio ai nazisti sostenendo che fosse l’unica via per salvare la monarchia e l’indipendenza del Belgio. Non gli credettero. Nel 1945 fu condannato a morte, ma poi, amnistiato, se la cavò con l’esilio. Dagli anni Cinquanta fino alla morte, un mese prima della caduta del Muro di Berlino (che da antisovietico viscerale avrebbe tanto desiderato vedere), si dedicò solo alla letteratura e alla filosofia politica. Ah, fra le altre numerose cose notabili della sua avventurosa vita (senza mai rimpiangere la giovinezza), ci fu anche l’amicizia con il più eminente dei collabò, Louis-Ferdinand Céline, del quale curò come editor alcuni romanzi. Del suo amico Céline, anzi Mon ami Bardamu(libro che uscì nel 1971) - parlando di lui ma pensando anche a se stesso - scrisse: «Un fascista, un antisemita inguaribile, un “collaborazionista” non lo è, come non è un resistente, un democratico o un nazionalista: è un anarchico, ha orrore delleideologie e dei luoghi comuni, è un individualista feroce, con un fondo malcelato di tradizionalismo “vecchiafrancia” e il gusto della rivolta». Il gusto della rivolta l’avevano entrambi, eccome. Personaggio discusso e discutibile, indole anarchica e piglio reazionario, Poulet era convinto che la Rivoluzione francese rappresentasse il tracollo estetico e morale dell’Occidente, definì il socialismo reale «una schifezza», colse la grande debolezza della democrazia, era convinto - dando una sonora lezione di vero antipopulismo elitario cinquant’anni prima delle prezzolate élite del nostro tempo - che «il delitto più orrendo contro il popolo è stato quello di abbandonarlo al suo gusto, che è detestabile». (...) E siamo a Contre la jeunesse (Contro la gioventù), spensierato anno 1963. Bene. E cosa dice l’imprevedibile Poulet, contro tutte le convenzioni sociali, morali e mentali del pensiero pop-contemporaneo?Cose irriferibili oggi, in tempi di miti digitali e riti estetici sull’eterna giovinezza. Ossia che la gioventù è infinitamente peggio dellamaturità. La prima è un’età ingrata, piena di false speranze, dominata dalle pericolose illusioni dell’innocenza, di cui da adulti rimangono solofalsi ricordi di dolcezza, in realtà un tempo segnato da brutalità, vigliaccherie, perfidie (i ragazzi sono cattivi, violenti ed egoisti per natura). Mentre la seconda è l’età del riappacificante disinganno, della realtà, della saggezza contro il bruto istinto, dell’esperienza, dell’equilibrio, della tenerezza, un tempo caratterizzato da onore, coraggio, pietà, giustizia, per quanto l’essere umano può essere onorevole, coraggioso, pietoso e giusto. «Il carattere è cosa della maturità; prima non ci sono che apparenze», recita impietoso Poulet. Di qua dai trent’anni albergano infatuazione e indifferenza. Di là astuzia e prudenza. Nella giovinezza (momento della vitain cuila cattiveria è «il solo mezzo di manifestarsi e di sviluppare la personalità») l’individuo non è in grado di controllarsi, è in balìa delle passioni e schiavo della superbia. Soltanto da adulto, avendo imparato a combattere stupidi capricci e pulsioni morbose, e dopo essersi esercitato a distinguere il giusto dall’errore, l’uomo potrà dirsi davvero libero (eventualmente anche di peccare). L’assennatezza, come del resto la Bellezza, è raggiungibile solo dopo una lunga disciplina. Forever Young è solo il bel titolo di un’orecchiabile canzone dei giovanilistici anni Ottanta. Che forse il buon Poulet non ascoltò neppure. Alla fine, a Poulet è andata bene. Avesse vissuto oggi...
Oggi un testo come quello di Robert Poulet ci offre uno splendido motivo per essere veramente anti giovanilisti. Altro che i «bamboccioni» del ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa, degli «sfigati» del sottosegretario al Lavoro Michel Martone, dei choosy del ministro del Welfare Elsa Fornero... Il nostro Non è un Paese per vecchi? Purtroppo. Leggete cosa scrive Poulet negli appunti per la prima stesura del suo pamphlet: «Uno dei pericoli della nostra epoca sono i bambini che giungono al potere; i bambinifanno altri bambini ed ilmondo sprofonderà nell’infantilismo». Applicato - ad esempio - al giovanilismo supponente di Renzi&Co. o alla «bambolina imbambolata» Virginia Raggi, la sentenza ha il sapore della profezia inascoltata. (...) Quel genio sulfureo di Poulet ci dice che i giovani sono male educati, fiacchi, stupidi e pretenziosi. E che tenere a bada la voluttà e l’apparenza proprie dell’età ingrata, usando la forza di volontà e l’esperienza per temprare il carattere dell’individuo che può veramente manifestarsi solo nella maturità, è un processo lungo, e una battaglia durissima.
Insomma, non elogiamo troppo la gioventù. E mettetevi in testa, ragazzi, che prima dei trent’anni l’unica vittoria che vi dovete prefiggere è di sbarazzarsi della giovinezza. Per vivere da anarchici, ribelli, cinici, e liberi, c’è tutto il tempo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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