Gramsci vittima di un rapimento

Le spie sovietiche prelevarono il leader politico per farlo espatriare illegalmente. Ma qualcosa andò storto

Gramsci vittima di un rapimento

Antonio Gramsci nel 1916 scriveva: «Dei fatti maturano nell'ombra, perché mani non sorvegliate da nessun controllo tessono la tela della vita collettiva... E quando i fatti che hanno maturato vengono a sfociare, e avvengono grandi sventure storiche, si crede che siano fatalità». Il fondatore del Partito comunista italiano non avrebbe probabilmente pensato, all'epoca, che queste sue riflessioni sarebbero state applicate anche alla sua morte, avvenuta nella clinica Romana Quisisana il 27 aprile 1937.

Di ciò che avvenne in quella clinica, prima e dopo la morte dell'autore dei Diari dal carcere esiste una versione ufficiale. Si basa sui documenti di rito (per altro stranamente lacunosi), su alcune scarne comunicazioni interne della polizia italiana che sorvegliava Gramsci (il 21 aprile di quell'anno Gramsci era passato dalla libertà condizionata alla piena libertà, ma era ovviamente monitorato) e su una lunga relazione della cognata (fedelissima ai sovietici) Tatiana Schucht (12 fogli manoscritti vergati senza neanche una correzione). Questa ricostruzione parla di morte naturale dovuta ad una emorragia cerebrale: Gramsci sarebbe stato colto da una emiparesi improvvisa mentre si trovava in bagno. Inutilmente soccorso, e dopo essere rimasto vigile e loquace per ore, sarebbe poi spirato in modo assolutamente naturale.

Questa vulgata presenta da sempre diverse lacune e contraddizioni. Per non dire misteri. Valga per tutti la possibilità che alcuni degli scritti più scomodi di Gramsci, ormai per molti motivi in rotta con Stalin e Togliatti, siano stati fatti sparire. E in molti hanno anche formulato dubbi sulla causa della dipartita di «Nino» (così lo chiama nella suo racconto la Schucht). Anche qui valga ad esempio la dichiarazione della nipote Olga che nel 1999 sostenne che nonno Gramsci era stato avvelenato.

Ora, a prendere di nuovo in esame quella giornata fatale, dopo aver analizzato molto bene tutto il percorso politico - pieno di disillusioni - che legò il politico italiano all'Urss, è lo storico Luigi Nieddu in L'ombra di Mosca sulla tomba di Gramsci (Le Lettere, pagg. 224, euro 18, con una prefazione di Francesco Perfetti). Nieddu rielabora le fonti e arriva ad una conclusione che creerà sicuramente dibattito. Secondo lo storico, Gramsci morì accidentalmente durante un tentativo di rapimento, organizzato dalle spie staliniste, per trasferirlo in Unione Sovietica. Quel 27 aprile probabilmente Tatiana gli aveva comunicato che ci sarebbe stato un tentativo di «liberazione» da parte di agenti sovietici. A Gramsci l'idea non piacque, sapeva da un bel po' come finivano i comunisti non staliniani. Secondo Nieddu qualcuno cercò di prelevarlo comunque, con la forza, dalla Quisisana.

Oppose resistenza? Secondo Nieddu l'ipotesi più probabile è che per sfuggire agli agenti dell'Nkvd, che avevano a Roma una robusta rete spionistica, Gramsci si sia prima penzolato e poi buttato dal poggiolo della sua camera: sette metri d'altezza sul giardino della clinica. Abbastanza per provocarsi gravissime lesioni alle gambe, ma non per morire sul colpo. Dopo il fattaccio sarebbe scattato il grande inganno per coprire i fatti. E di questo grande inganno resterebbero molti indizi che Nieddu elenca. Le foto ufficiali del corpo, tutte ritoccate e nelle quali sono state «tagliate» le gambe, la fretta di incenerire il cadavere, la narrazione di Tatiana così precisa e senza correzioni ma piuttosto improbabile nella descrizione dei fatti. Una serie di documenti che sembrano dei depistaggi fatti ad arte (anche se non è semplice identificarne gli autori).

Gli storici ne discuteranno a lungo perché ovviamente a settantasette anni di distanza è ben difficile chiudere un'indagine. Ma alla fine sul senso di tutta la vicenda il giudizio di Nieddu è chiaro. «Gramsci non fu soltanto vittima del fascismo, e il suo nome dovrebbe essere collocato al posto d'onore nel lungo elenco delle vittime italiane di due opposti totalitarismi, alquanto diversi fra loro.

Quello fascista, dopo averlo mandato in galera stabilendo la durata della pena, gli aveva concesso i benefici di legge succedutisi nel tempo, al pari degli altri detenuti... Quello comunista gli ha impedito di ridiventare libero e gli ha accorciato la vita». E non esclude nemmeno l'ipotesi che Gramsci sia stato finito col veleno.

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