Da Isacco ai kamikaze Quanti significati per la parola sacrificio

Da Caino e Abele, al sacrificio di Isacco, al Secondo Tempio, attraverso il Talmud ma anche leggendo Kant e Wittgenstein, Moshe Halbertal nel volume della Giuntina Sul sacrificio (pagg. 150, euro 14) arriva fino alla «guerra giusta» e ai kamikaze.

Impariamo in sostanza che il concetto di «sacrificio a», ovvero il sacrificio rituale, che presto si trasforma in «sacrificarsi per», un luogo della psiche umana con cui tutti quanti abbiamo familiarità, è molto pericoloso perché si intreccia indelebilmente con il concetto di violenza. Insomma, se pensavamo che sacrificarsi fosse una scelta di generosità, invece impariamo qui che esso può essere una scelta in cui l'imperativo categorico di kantiana ispirazione si mescola con il narcisismo personale, e chi della pulsione vuol fare uso, prima di tutto lo Stato, che secondo Halbertal può spingerci a guerre senza fine.

La preoccupazione di Halbertal, professore di pensiero e filosofia ebraica all'Università di Gerusalemme, è che il concetto di sacrificio nel trasformarsi in ideologia crei dunque alla fine dei soldati che, pronti a sacrificare la propria vita, si lancino di fatto in una spirale di violenza. Ma non è tutto qui, anzi. Il libro è diviso in due parti: sacrificio «a» e «sacrificarsi per», con una dimostrazione molto acuta di come la seconda scelta sia lo sviluppo moderno del sacrificio rituale. Caino che vede rifiutata misteriosamente la sua offerta amorosa al Signore agisce in risposta uccidendo Abele, non tanto perché si sia creata una sua privazione nell'avere, quanto nel dare. Il dono se non viene accolto annienta il donante, il rifiuto toglie dignità all'essere umano e lo rende pericoloso, e quindi si tratta di costruire una struttura in cui, proprio tramite la ritualità e più avanti tramite il pubblico apprezzamento, l'accoglienza sia garantita e protetta. Halbertal compie dunque tutta la strada per definire la pericolosità ma anche l'importanza nella storia umana di questo processo di rischio e protezione. Non esistiamo senza sacrificio, e non perché ci aspettiamo qualcosa in cambio, ma per motivi molto più profondi, relativi all'amore di Dio o all'apprezzamento.

Abramo che si piega a offrire Isacco ci dimostra che il sacrificio non è fatto per ottenere ricompensa, dato che nessuna ricompensa può pareggiare l'offerta di un figlio. Si tocca così il tema del Cristo offerto da suo Padre per la salvezza del genere umano. Più avanti si arriverà, col «sacrificarsi per», alla trasmigrazione del tema nella psiche moderna: la guerra ne è l'epitome più salata. La tesi del filosofo è che il sacrificio dei soldati in guerra sia una esplosiva somma di amore di sé e di interesse con cui si paga il diritto a uccidere.

Tesi interessante, e gestita bene: il fatto però è che spesso il sacrificio in guerra è generato da situazioni senza

scelta, in cui l'amore di sé e l'interesse suggeriscono, come accade ora nella guerra contro il terrorismo, di combattere per non soccombere, e basta. Ovvero: per quanto se ne ragioni, il sacrificio a volte è indispensabile.

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