Stefano Taché, due anni, ucciso a Roma al Tempio il 2 ottobre 1982; Ian Halimi, Parigi, 13 febbraio 2006, in uno slum sede di una banda islamica; Moshe Twersky, Aryeh Kupinsky, Kalman Levine, Avraham Goldberg, in una sinagoga a Gerusalemme,18 novembre 2014; Yoav Hattab, Philippe Braham, Yohan Cohen, Michel Saada, Parigi, al supermaket kosher, 9 febbraio.
Sono pochi nomi fra le migliaia di vittime dell'antisemitismo contemporaneo, ed è insopportabile. Sono stati uccisi solo perché erano ebrei, come i Sei Milioni di cui oggi si leggono uno dietro l'altro i nomi nelle sinagoghe per non dimenticarli come persone, bambini, vecchi, mamme, giovani. Ma questi nuovi nomi e quelli di tutti gli altri uccisi in questi anni devono adesso e per sempre entrare a far parte del tributo della storia agli ebrei trucidati in quanto tali, celebrandoli nel Giorno della Memoria. È indispensabile, se vogliamo che abbia un senso l'iniziativa per non dimenticare mai le vittime della più abominevole fra le brutture che affliggono il mondo.
Questo del 2015 è il giorno della Memoria che deve prendersi la responsabilità di un stato di cose stupefacente: l'antisemitismo in Europa e nel mondo è in continua crescita e le vittime che qui nominiamo sono stati uccisi, come i miei nonni Nirenstein e le sorelle di mio padre, e i fratelli di mia nonna Lattes Volterra, in quanto ebrei. Nel mondo contemporaneo. 70 anni dopo la Shoah. Penso che i miei cari li abbiano accolti nel mondo a venire con infinito affetto e senso di desolazione.
Nei primi sei mesi del 2014 gli incidenti antisemiti sono cresciuti in Europa del 436 per cento, del 1200% in Sud America, del 600% in Sud Africa, dell'800% in Oceania, del 127% in USA, del 100% in Canada. Dei Paesi musulmani nemmeno parliamo: gli ebrei sono stati già tutti cacciati o come in Yemen o in Iran vivono nel terrore. Nel 2013 gli attacchi in Europa sono stati 686, di cui 166 compiuti con lo scopo di uccidere.
Celebriamo dunque oggi il Giorno della Memoria constatando che i grandi organismi internazionali, come l'ONU e tutti i suoi derivati, nati sulle ceneri dell'Olocausto con la parola d'ordine «mai più», di fatto hanno invece collaborato alla rinascita dell'antisemitismo. Non solo non hanno contrastato la delegittimazione islamista, la sua denigrazione in termini tradizionali ma anche attualizzati, del popolo ebraico, ma hanno soprattutto con mille risoluzioni, mostre, lezioni, incrementato una fissazione aggressiva e stereotipata dello Stato di Israele, negando il diritto degli ebrei di vivere a casa loro con l'accusa di un'infamia totalmente inventata, appunto come quelle di Hitler.
È stato promosso un nuovo antisemitismo, e del resto ogni epoca e ogni regime ha il suo. Gli ebrei di oggi sono stati paragonati a nazisti, lo stato ebraico, una fioritura di democrazia purtroppo costretta sempre alla difesa, a una sentina di attacchi contro i diritti umani. La negazione della storia ebraica e quindi del diritto all'autodeterminazione ne ha fatto di nuovo un popolo di serie B. Il ritratto inventato della causa palestinese come una questione di giustizia e diritti umani ha fatto da pendant all'immagine tradizionale dell'ebreo mentitore, che si è inventato l'Olocausto e la sua appartenenza a Gerusalemme, un ebreo colonialista, violento, assassino di bambini. Una propaganda minuta e insistente ha consolidato quest'immagine presso le folle islamiche, l'estrema sinistra, l'estrema destra. Ma anche ignoranti moderati hanno riempito le piazze europee, a Parigi, a Berlino, di folle che gridavano morte agli ebrei.
Il dizionario dell'antisemitismo contemporaneo fu formulato da Ahmadinejad alla conferenza Durban 2 che, per iniziativa dell'Onu, ebbe luogo a Ginevra: Ahmadinejad definì Israele «uno Stato totalmente razzista», «uno stato razzista che ha occupato la Palestina», i sionisti «perpetratori razzisti del genocidio». Queste formule, insieme alla negazione della Shoah, sono il vocabolario usato da una miriade di antisemiti odierni, e purtroppo sono anche l'alfabeto veicolato a ogni bambino palestinese e a molti arabi, nei libri di testo e alla tv.
Ma l'Onu non ha mobilitato i suoi organismi educativi perché Israele viene descritta come un Paese di apartheid mentre basta una visita in un ospedale, o alla Knesset (il parlamento), per capire che enorme menzogna sia questa. L'Onu non si è mossa benché il 63 per cento dei polacchi, il 48 dei tedeschi, il 38 degli italiani pensino che Israele conduce una «guerra di sterminio», e non di dolorosa difesa come è evidente a chiunque ragioni, contro i palestinesi. Gli antisemiti non hanno mai ragionato: i vecchi stereotipi degli ebrei ricchi, guerrafondai, egoisti, sono adesso lo sfondo della nuova israelofobia che va a braccetto con la negazione della Shoah. Per decenni, si è indicato nella cultura e nel curriculum scolastico la strada per battere l'antisemitismo.
È un cantiere aperto: l'Agenzia Europea dei Diritti Fondamentali ha, certo, elaborato un progetto di educazione alla Shoah che comprende ricerca, incontri fra insegnanti e educatori, mostre, conferenze. Il sistema scolastico include lezioni sull'Olocausto, il presidente della Repubblica premia la gara «I giovani ricordano la Shoah». Nel 2010 Auschwitz ha visto un milione e 380mila visitatori, di cui 500mila dalla Polonia, 84mila dal Regno Unito, 74mila dall'Italia e 68mila dalla Germania. I capi di stato quando parlano dei recenti eventi antisemiti nei loro Paesi si mostrano contriti, disperati, stupiti, belligeranti, le loro dichiarazioni sono spesso sincere: essi certo odiano l'antisemita fantasmatico che ha compiuto la Shoah e amano gli ebrei morti in quegli anni.
Ma non funziona: gli attacchi odierni agli ebrei dimostrano che la matrice dell'odio antisemita attuale è l'israelofobia isterica.
Certo, si deve raccogliere fino all'ultimo istante la memoria dei sopravvissuti, con tutto l'amore; ma per battere l'antisemitismo ci vuole il restauro dell'immagine di Israele, il pellegrinaggio psicologico e anche fisico per capire la realtà dello Stato degli Ebrei.
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