Il lato oscuro delle religioni d’Oriente

Il lato oscuro delle religioni d’Oriente

nostro inviato a Gorizia

M a quanto sono belle e facili le Religioni d’Oriente. Ma quanto sono umane, nuove e culturalmente interessanti, mica come questa vuota crisalide cristiana che da secoli ci imprigiona. Tanto che se uno vuol mantenere il crocefisso nelle scuole è per forza un reazionario e se uno, invece, volesse consentire ai bambini musulmani di interrompere la lezione per la preghiera (una preghiera più che legittima) è multiculturale. Questo è il portato di quella che potremmo definire una moda spirituale che negli ultimi decenni ha attraversato tutto il mondo occidentale. Va dall’espansione del buddhismo, che tanto piace a calciatori e attori, alla diffusione del New age, passando attraverso l’orgoglio mussulmano di parte della popolazione nera d’America. Però analizzando bene queste religioni, le si scopre molto diverse da come ci vengono raccontate dalla vulgata. Non migliori o peggiori. Ma, come tutte le religioni, dense di storia e caratterizzate da moltissimi livelli interpretativi stratificati nel tempo. Insomma un po’ meno da esportazione, un po’ meno in formato «pillola della felicità multiculturale».
Per rendersene conto niente di meglio di alcuni degli incontri che ieri pomeriggio si sono svolti al festival goriziano di èStoria, come «Oriente profetico?» con la professoressa Jae-Suk Lee, che insegna alla facoltà di Teologia della Pontificia Università Lateranense, oppure «Oltre il velo. Islam visionario e apocalittico», un dialogo moderato da Farian Sabahi, docente di storia dei Paesi arabi all’università di Torino.
A esempio per quanto riguarda la percezione del Buddhismo la professoressa Lee dice al Giornale: «Il successo delle religioni orientali in Occidente deriva da un vuoto spirituale che il cristianesimo, a un certo punto, ha smesso di riempire. Gli aspetti del buddhismo relativi alla meditazione al rilassamento, all’introspezione hanno riempito questo vuoto». Ma il buddhismo è qualcosa di molto più complesso: «Tutto il ragionamento sull’ascesi, sulla rinuncia non ha lo stesso successo. E la difficoltà della conversione interiore che è l’unico modo di interrompere il ciclo delle reincarnazioni? Un monaco buddhista una volta mi ha detto: “Voi avete la grazia l’intervento divino, la nostra conversione che porta al Nirvana va fatta da soli, è uno sforzo, una fatica e una pena tremenda. Bisogna annullare se stessi negli altri e viceversa”». E mentre dialoga con Attilio Andreini e Andrea Bellavite, arrivano anche tutte le spiegazioni sulla «apocalisse» che dovrebbe precedere l’arrivo del Buddha Maitreya: non proprio il solito polpettone sulla pace interiore.
E quanto al millenarismo l’importanza dei miti di questo tipo nel mondo islamico è spesso trascurata. E ha un ruolo enorme anche nella lotta politica odierna. Farian Sabahi ci spiega il caso Iraniano: «Per gli sciiti il mito del Mahdi? (il “ben guidato da Dio”) è fondamentale. Le classi popolari iraniane attendono fiduciose il ritorno dell’ultimo degli Imam discendenti da Alì, il quale non sarebbe morto ma “scomparso”, sottratto alla vista del mondo fino quando riporterà il bene e la giustizia sulla terra. Mahmud Ahmadinejad ha sfruttato queste leggende che invece gli Ayatollah hanno cercato di contenere. Sono correnti di religiosità popolare partite nelle campagne ma ora radicate in tutta la società; e ora si trasformano in potente strumento politico».
Chiosa Marco De Michelis, giovane relatore che partecipa all’incontro: «Ma anche nel resto del mondo arabo esiste un millenarismo che nel complicato contesto della primavera araba ha ripreso forza.

Spesso è legato a movimenti che si oppongono alla secolarizzazione della società».
Insomma, per un pezzo di mondo arabo meglio l’apocalisse che il multiculturalismo; per gli occidentali invece il multiculturalismo va benissimo a patto che non faccia far fatica. Di apocalissi poi non parliamone.

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