L'ecoterrorismo cominciò col Ddt

Nel settembre '62 uscì il libro choc sul pesticida: fece vincere la malaria. Da allora gli annunci (a vanvera) della fine del mondo sono la regola

Un membro dell'Unicef in India spruzza del pesticida
Un membro dell'Unicef in India spruzza del pesticida

Nel corso della storia tante volte è stata annunciata la fine del mondo, ma mai si è trattato di fenomeni collettivi: piccole sette, profeti improvvisati, indovini sibillini hanno sempre destato curiosità e attenzione ma la loro convinzione nello stabilire date precise per l'ultimo giorno è sempre stata considerata una bizzarria dalla stragrande maggioranza della gente.
Negli ultimi decenni invece tutto sembra cambiato: allarmi e annunci di catastrofi globali e irreversibili si susseguono senza sosta e fanno presa sull'opinione pubblica al punto di generare quella che lo scrittore Gary Alexander definisce una vera patologia: l'apocaolismo, la dipendenza da apocalisse. E ha anche ironicamente promosso l'iniziativa degli «apocaolisti anonimi», per aiutare a liberarsi dal panico collettivo che in questi anni ha toccato ogni aspetto della nostra vita: esplosione della popolazione, riscaldamento globale, piogge acide, guerre per l'acqua, esaurimento delle risorse, buco dell'ozono, epidemie di ogni genere, scomparsa delle api, telefonini che provocano il tumore al cervello. Tutti allarmi rivelatisi falsi o abbondantemente sovrastimati ma ormai profondamente inseriti nell'immaginario collettivo.
Ma come ogni cosa anche per l'apocaolismo si può individuare una data d'inizio, che risale esattamente a cinquanta anni fa: il 27 settembre 1962 usciva infatti un libro che avrebbe cambiato il corso della storia, Silent Spring (la primavera silenziosa), una raccolta di articoli pubblicati sul New Yorker dalla scrittrice Rachel Carson. Venduto in milioni di copie in tutto il mondo, questo libro ha reso popolare la preoccupazione per i pesticidi e l'inquinamento dell'ambiente, ma soprattutto va ricordato perché è stata la principale causa della messa al bando del DDT, il pesticida che ha permesso ai nostri paesi sviluppati di sconfiggere la malaria con l'eliminazione della zanzara responsabile dell'infezione. I test scientifici svolti in questi anni hanno sempre smentito i presunti effetti velenosi sull'agricoltura e sulla salute degli esseri umani del DDT, ma non c'è più stato niente da fare e nella lotta alla malaria - soprattutto in Africa - si è persa l'unica arma efficace.
Ma questo è solo l'inizio: gli anni '60 sono stati quelli della «Bomba demografica», come recita il titolo del libro del biologo Paul Ehrlich uscito nel 1968 e anche questo tradotto in decine di lingue e venduto in milioni di copie. Già nell'introduzione, il libro non lasciava scampo: «La battaglia per nutrire l'umanità è persa. Negli anni '70 centinaia di milioni di persone moriranno di fame malgrado qualsiasi programma d'urto si adotterà». Nulla di tutto questo è accaduto ma ancora nel 2009 lo stesso Ehrlich anziché scusarsi rincarava la dose sostenendo che ne «La bomba demografica» era stato troppo ottimista sul futuro. Punto di vista condiviso anche dal Club di Roma che nel 1972 pubblicò un altro successo mondiale, «I limiti dello sviluppo», in cui si annunciò la fine delle riserve di molti metalli entro il 1992, con conseguente collasso della civiltà industriale.
La fine delle risorse è quindi diventato un allarme ricorrente fino ai giorni nostri, ma già nel 1977 ricordiamo il presidente americano Jimmy Carter andare in tv a dire che la produzione mondiale di petrolio sarebbe finita nel giro di massimo otto anni. In realtà la produzione di petrolio ha continuato ad aumentare negli ultimi 45 anni, ma non per questo i profeti di sventura si scoraggiano. E si passa all'allarme successivo: anni '80, comincia il balletto sull'estinzione delle specie. «Si perdono 40mila specie all'anno», tuonava il conservazionista Norman Myers, ma lo Smithsonian Institute si spinse fino al 75-80% di tutte le specie entro il 1995. Il Museo americano di Storia naturale ci dice invece che l'estinzione riguarda soltanto lo 0,2% di tutte le specie, e solo in minima parte ciò è dovuto all'uomo.
Ma in questo periodo abbiamo convissuto anche con la continua paura delle malattie epidemiche, dalla Sars all'aviaria, dalla mucca pazza all'ultima influenza suina, che ha generato soltanto guadagni milionari per le industrie farmaceutiche che hanno venduto vaccini poi inutilizzati. Per non parlare degli allarmi sul clima che, ormai da anni, si susseguono ogni giorno.
Puntualmente la realtà si preoccupa di smentire ogni catastrofismo, ma evidentemente gli interessi economici e politici nel generare allarmi fanno sì che la «fabbrica della paura» aumenti la sua produzione e così per il futuro le cose potranno anche andare peggio. Sentite cosa scriveva nel 2002 il WWF, nel suo annuale rapporto The Living Planet: «Entro il 2050 scompariranno le foreste, le specie si estingueranno, non ci saranno più pesci nel mare, né animali sulla terra.

I consumi sono troppi, non ci saranno più risorse naturali, la terra morirà e l'uomo dovrà cercarsi un altro pianeta dove vivere».
Di fronte all'arrivo di cotante sciagure, ci si può veramente stupire se qualcuno si augura oggi l'avverarsi della (falsa) profezia dei Maya che prevede la fine del mondo per il prossimo 21 dicembre?

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