L'errore degli ebrei: non sapersi difendere Neppure dai nazisti

Abituati da sempre a cercare l'appoggio dei sovrani dei vari Paesi "accettarono" i ghetti e i lager. E a volte collaborarono con i carnefici

L'errore degli ebrei: non sapersi difendere Neppure dai nazisti

Quanto è problematica, irritante, provocatoria la storia ebraica, quanto ogni considerazione ci rimanda poi a problemi complessi cui gli storici non trovano mai una risposta soddisfacente. Ad esempio, perché gli ebrei non capirono che si avvicinava la mostruosa mannaia della Shoah? Perché si adeguarono (anche se non bisogna dimenticare che negli stessi anni nell'Yishuv ebraico di Palestina i guerrieri sionisti si battevano contro gli arabi per la loro Terra) a una realtà impossibile, a volte sistemandosi nei ghetti mortiferi, talora addirittura collaborando con i carnefici nelle deportazioni?
Lo spiega in un affollatissimo libretto Yosef Hayim Yerushalmi, scomparso nel 2009 dopo aver donato al mondo alcuni fra i migliori studi sulla cultura ebraica. Ora la Giuntina ha avuto l'intelligenza di pubblicare questo saggio che, come spiega nella bella introduzione David Bidussa, racconta come gli ebrei, «per ricevere protezione cercarono alleanze verticali» e, abituati a ottenerle, non capirono nulla di ciò che stava per accadere nei territori occupati dai nazisti. Da sempre, sino ai tempi della Shoah, pensavano che «il re», o chi per esso, li avrebbe salvati, almeno dallo sterminio di massa.
Per questo furono, come dice il titolo non privo di malizia, «Servitori di re e non servitori di servitori» (sottotitolo Alcuni aspetti della storia politica degli ebrei, pagg. 72, euro 10). Servitori non è una bella parola al giorno d'oggi, di chiunque lo si sia, tanto più dell'autorità costituita. Insomma, dice Yerushalmi un po' sulle tracce di Hannah Arendt, sempre ipercritica verso il proprio popolo più che verso il regime nazista da cui era fuggita, ricorsero alle massime autorità e trascurarono il rapporto con il popolo. Bidussa spiega che la percezione di un continuo pericolo e quindi la richiesta di aiuto al re deriva da una sorta di imprinting, per certi versi biblico (basta pensare al Libro di Ester e allo scampato pericolo di sterminio da parte di Aman per intervento di Ester presso il re!).
Yerushalmi dimostra come la storia abbia rafforzato la fiducia del mondo ebraico nel sovrano che li proteggeva nel medioevo dall'odio del popolino che vedeva negli ebrei gli assassini di Cristo, e li circondava di una pur fragile muraglia legislativa che ne impediva il libero eccidio, lo sterminio e, anzi, cercava di fare degli ebrei un utile instrumentum regni, creando la figura dell'ebreo di corte. Yerushalmi riporta parecchi episodi che dimostrano come il sovrano e i Papi abbiano cercato di aiutare gli ebrei quando erano pesantemente aggrediti da un antisemitismo che per altro essi non combatterono mai, anzi, fomentarono. Ma Yerushalmi ammette anche molte “violazioni” della sua norma, come in Spagna nel 613, e poi nel 1506 in Portogallo o le espulsioni dall'Inghilterra del 1290 o la cacciata dalla Spagna del 1492 e dal Portogallo nel 1506, o le persecuzioni dei nobili polacchi che a partire dal XVI secolo colpirono gli ebrei, diventati di fatto i “re” del Paese.
In realtà se si sfoglia una qualunque storia del popolo ebraico, si capiscono un paio di cose. La prima: era logico, sulla base di motivi molto pratici e non ideologici, che gli ebrei cercassero qualche “cappello” legislativo che proteggesse la loro incolumità, perché essa veniva violata ripetutamente e con grande violenza da folle fanatiche, cosacchi e chi più ne ha più ne metta. La più semplice ed efficace delle figure di riferimento era il sovrano, il quale a sua volta aveva interesse a tutelare i suoi “ebrei di corte”. La seconda cosa importante è che è altresì vero che la minaccia della Shoah era subdola. Ci volle molto tempo (per tutti, non soltanto per gli ebrei) prima che fosse possibile capire che la Shoah era una Apocalisse definitiva non lasciava spazi a trattative. Così una parte del mondo ebraico pensò di poterla evitare con “colloqui” e con “compromessi”. E queste parole tra virgolette devono far riflettere, a causa delle attuali minacce iraniane di sterminio degli ebrei e la certezza mondiale di risolverle con “colloqui”.
Una terza considerazione riguarda il fatto che l'abitudine alla richiesta di protezione era radicata anche a causa di una mancanza. Oggi esiste lo Stato di Israele. Nel Medio Evo, nel 1492 e neppure all'alba della Shoah non esisteva affatto. Esso rappresenta dunque una mutazione rilevante che ai nostri occhi non è ancora stata interiorizzata dalla Diaspora, tuttora molto legata allo schema di un rapporto indispensabile di protezione con le autorità del proprio Paese. Per ultimo, Hannah Arendt, nonostante la «banalità del male» fosse uno schema che aveva applicato (scoperta mai più messa in discussione) a uno come Eichmann che aveva fatto della sua pochezza un uso niente affatto banale, spesso sottolineava come gli ebrei (anche un pazzo megalomane e probabilmente crudele come Chaim Rumkowski) fossero largamente colpevoli del loro crudele destino. Di fatto anche i kapò e i confusi e tremebondi capi delle comunità che cercarono scampo in modi improbabili furono protagonisti dello stesso tipo di choc che portava gli ebrei ad avventurarsi in richieste di aiuto che in gran parte non funzionavano.

Bastava un contadino polacco o un giovane SS e il “gioco del re” era finito. Per questo, non c'è protezione regale possibile. Gli ebrei avrebbero dovuto ben prima cercare un'autodifesa. Ma è stato impossibile per tanto tempo.

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