Il miglior romanzo è figlio di un paradosso della fisica

Lo scrittore francese Philippe Forest trasforma il "gatto di Schrödinger" in una chiave per riflettere sull'esistenza. E su tutti i suoi lati più folli

Lo scrittore francese Philippe Forest
Lo scrittore francese Philippe Forest

Io quando leggo uno scrittore italiano mi deprimo. Peggio ci sono solo i critici italiani e i politici che parlano nei talk show. Prima o poi torneranno anche gli scrittori, perché scrivono le stesse cose, vogliono fare politica con la narrativa. Insomma, se anche voi non ne potete più di prediche impegnate, di lagne femministe, operaiste, di pappardelle sempre generazionali all'ombra del proprio campanile, di speculazioni sulla crisi economica peggiori delle vecchie speculazioni edilizie, correte a prendere l'ultimo libro di Philippe Forest.

È la prova di come la scienza sia uno stimolo fondamentale per letteratura, per l'immaginazione e perfino per la poesia. Soprattutto quando chi ne scrive ha studiato bene, e non prende fischi per fiaschi. Il libro si intitola Il gatto di Schrödinger (Del Vecchio editore, pagg. 310, euro 15,50), e lo spunto della storia è proprio il famoso gatto di Erwin Schrödinger, infilato in uno scatolone solo mentalmente, per riuscire a far immaginare un principio della fisica quantistica secondo cui una particella, a differenza degli oggetti a cui siamo abituati, è una funzione d'onda che può avere due stati contemporaneamente. Un gatto costretto a essere per sempre vivo e morto. Comunque, se non vi è chiaro il concetto andatevelo a leggere, e in ogni caso ci pensa Forest a rispiegarvelo.

È una densissima opera sulla vita e sulla morte, dove fa capolino appena appena la storia del lutto vissuto da Forest (la terribile morte della figlia), il quale però è stato così intelligente da mettersi a studiare la materia di cui è fatto il mondo anziché andare a cercare consolazione in televisione o a Medjugorje. O entrambe le cose, come farebbe un italiano. Dimostrando anche che non è vero che la scienza deprime con la fredda vivisezione della realtà. Non consola neppure, ma rende profondi e emoziona, stimolando in Forest una fantasia poetica portentosa, logica, paradossale e umoristica al tempo stesso.

Memoir e romanzo, racconto filosofico e autobiografico, è una lucida affabulazione sulla solitudine, sulle ombre, sul buio e sul Big Bang, piena di teorie volutamente non sempre scientifiche ma bellissime, come quella sul sesso dei gatti, i quali sono tutti femmine. Mentre per i cani vale il contrario, le femmine sono tutti maschi. Le donne, viceversa, sono tutte gatte. Adesso le femministe tipo la Boldrini insorgeranno, «salvo che sono sempre le donne che amano prendersi per delle gatte - mai, per esempio, lo avrete notato, per delle cagne». Seguendo il filo delle riflessioni, si mette in dubbio la nostra stesso sesso: «sono davvero uomo io? Per vederci un po' più chiaro, bisognerebbe fondare una meccanica ondulatoria del sessi». La fisica quantistica applicata alla sessualità, che metterebbe fine a ogni coming out: siamo tutti maschi e femmine, punto. Ci mettiamo insieme e ci amiamo, proferendo parole false: ti amo, ti amerò per sempre, amerò solo te. Cavolate. «Cose che si dicono tra un uomo e una donna. Anche quando hanno vissuto abbastanza per sapere che non significano niente, che sono parole che sono già state dette migliaia e migliaia di volte. E che anche se sono vere, sono parole fatte per la notte in cui vanno a perdersi».

En passant Forest riesce a raccontarvi anche le vite di Niels Bohr, di Werner Heisenberg, dello stesso Schrödinger, nomi che suonano astrusi alla maggior parte dei letterati, critici o scrittori che siano, che vorrebbero raccontarci la realtà fermi a un'idea di realtà medioevale. (Lo sa ovviamente anche Forest: «Da circa un secolo ha luogo un'autentica rivoluzione di cui nessuno ha davvero coscienza»). E leggendo ci si ritrova a pensare pensieri stranianti, per esempio a come sia inquietante abitare luoghi abitati da morti, non per chi abbia la casa sopra un cimitero come nei film horror ma i vostri stessi appartamenti: «se si vive in un'abitazione anche un po' vecchia, è sempre in una casa di morti che si sta. Si diventa l'ennesimo e molto transitorio inquilino di una dimora nella quale sono passati ogni sorta di spettri cui presto o tardi ci si andrà a unire». Spettri nel senso di ombre, va da sé, con nessun riferimento a fantasmi e simili per fortuna.

A mio avviso il libro più bello di Forest, magnifica metafora della condizione umana, sull'assurdità di doversi pensare vivi sapendo di dover morire, di essere alla fine sempre vivi e sempre morti, come il gatto di Schrödinger.

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