Era il 31 ottobre 1512, la serata era tiepida e, in onore dell’ambasciatore di Parma, papa Giulio II della Rovere aveva organizzato un banchetto con i fiocchi. Cibi ricercati e vino generoso, ma il piatto forte arrivò solo dopo la cena, quando il pontefice si fece accompagnare dai suoi ospiti e da 17 cardinali a una cerimonia che avrebbe cambiato tutta la storia dell’arte mondiale, la «svelatura» della Cappella Sistina.
Michelangelo ci aveva lavorato per quattro anni in gran segreto, coprendo con un telone le impalcature e impedendo a chiunque di salirvi. La prima metà della volta era stata scoperta un anno prima, il 15 agosto 1511, e a tutti era stato chiaro che il maestro aveva inventato una «nuova e maravigliosa maniera di dipingere», come raccontò Ascanio Condivi. Lo aveva capito anche Raffaello, che a pochi metri di distanza aveva appena finito la Stanza della Segnatura. Buonarroti averva 33 anni, era corroso dai dubbi e dipingeva corpi muscolosi e contorti ripresi in scorci audaci. Sanzio venticinque, era sereno e bellissimo e raffigurava ancora scene di quattrocentesca soavità. Quella sera del 31 ottobre il papa e il suo seguito ebbero la precisa percezione che se Raffaello era il genio della bellezza, Michelangelo aveva toccato il sublime.
Cinquecento anni dopo, il 31 ottobre prossimo, la Camera dei deputati ospiterà una mostra che ricorda l'evento. Si chiama «Michelangelo e la Cappella Sistina nei disegni della Casa Buonarroti» e si terrà nel refettorio di Palazzo San Macuto. L’ha organizzata l'associazione Metamorfosi, che gestisce le opere conservate alla Casa Buonarroti di Firenze, e sarà accompagnata da un convegno su Michelangelo al quale partecipano Gianfranco Fini, il direttore dei musei vaticani Antonio Paolucci e Pina Ragionieri, direttrice dell'archivio fiorentino e curatrice l'esposizione. «Vogliamo illustrare - racconta Pina Ragionieri - il modo in cui è nato il capolavoro che avrebbe spazzato via ogni passato, con quelle figure travolte da un progressivo aumento di drammaticità, l'impianto architettonico, le composizioni sempre più liberamente configurate, il rifiuto dell'uso dell'oro, che era uno degli estremi ricordi delle botteghe quattrocentesche».
E con l’occasione arrivano a Roma ventisei opere: tredici disegni preparatori della Sistina e tredici riproduzioni d'epoca. Ci sono gli studi di nudo per la volta e quelli per il Giudizio Universale, che il maestro iniziò a dipingere sulla parete dietro l'altare ventiquattro anni più tardi, nel 1536.
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