Gli Arabi la chiamavano Siquilliyya e se l'erano lasciata alle spalle mentre trionfalmente conquistavano il nord Africa e, passato lo stretto di Gibilterra (Jabal riq, nella lingua del Profeta), si avventuravano in Spagna, dilagando in territori che poi divennero al Andalus. Poi l'operazione militare avvolgente che avrebbe dovuto portare alla conquista del regno dei franchi fu bloccata da Carlo Martello nella battaglia di Poitiers (ottobre 732 d.C.). Risultato: il maggiordomo di palazzo dei re merovingi era un osso troppo duro, i domini siciliani dei bizantini divennero più appetibili (sino ad allora c'erano stati solo attacchi navali), poi gli emiri africani a partire da Ibrahim ibn al-Aghlab iniziarono a far sul serio. Così nell'827 il qadi di Qayrawn, Asad b. al-Furat, grande giurisperito malikita, di origine persiana, sbarcò in forze vicino a capo Granitola. Cadde Mazzara (che ancora oggi vanta la sua arabeggiante quasaba, cittadella) e cadde l'antica Lilibeum che divenne Marsala (Marsa Allah, il «porto di Dio»). Ci vollero quasi altri cent'anni perché i bizantini capitolassero definitivamente con la resa di Rometta nel 965.
Nel frattempo era già iniziato il dominio mussulmano dell'isola che durò sino al 1072. Che ha lasciato tracce nei monumenti, nei toponimi, e anche nella cultura. La Sicilia fu gestita in autonomia dai suoi emiri ma, dal punto di vista formale, non fu contestato il vincolo di dipendenza dagli Aghlabidi, prima, e dai Fatimidi, poi. La capitale divenne Balarm (leggasi Palermo) e l'isola diede i natali a molti pensatori di lingua araba. Divenne davvero la perla del mondo islamico d'Occidente. Formalmente gli emiri palermitani, prima fatimidi e poi Kalbiti (sciiti) fornirono all'Isola quello che per l'epoca si può considerare un buon governo basato sulla dottrina conosciuta come il «circolo dell'equità»: «Non c'è regnante senza esercito, non c'è esercito senza ricchezza, non c'è ricchezza senza terre coltivate e non ci sono terre coltivate senza equità e buon governo».
Ma questa «età dell'oro» (Palermo era famosa secondo il geografo Ibn Hawqal per le più di 300 moschee) finì presto. Negli anni 60 del XI secolo l'isola si spezzò in 3 potentati islamici separati e questo diede l'occasione d'attacco ai normanni di Ruggero d'Altavilla. Entro il 1091 con la caduta di Noto la storia islamica dell'isola era finita. E come spiega un recentissimo libro dello storico Paul M. Cobb, La conquista del paradiso (Einaudi), la perdita della Sicilia fu percepita da molti intellettuali islamici come più grave delle crociate che sarebbero partite da lì a poco. La fine del dominio diretto non segnò però subito la fine dell'influsso culturale arabo. I normanni si guardarono bene dal fare piazza pulita e assimilarono quanto poterono della cultura dei precedenti dominatori. Qualcuno esagerò, come Guglielmo I di Sicilia detto il Malo (1131-1166) che si appoggio moltissimo alla componente araba del regno assumendone anche a quanto narrano i cronisti i costumi (suo l'inizio della costruzione del palazzo della Zisa, islamico sin nel nome). Il risultato di questo melting pot spinto ante litteram? Provocò una violenta rivolta nobiliare che causò la morte di moltissimi ricchi musulmani. Ma l'influenza araba a corte durò ancora: il geografo arabo-spagnolo Ibn Jubayr sbarcò sull'isola nel 1184 e fu stupito nello scoprire che a corte anche i cristiani parlavano arabo, che molti funzionari erano musulmani. Niente di simile è avvenuto in altre parti della penisola.
Certo i musulmani crearono un Ribat (castello) alla foce del Garigliano e arrivarono ad avere per breve tempo un emirato a Bari che durò più di un ventennio (847-871 d.C.). Ma nel resto d'Italia il loro influsso culturale diretto è considerabile marginale. Non furono marginali le vittime dei molti attacchi come quello che costò la vita agli 800 martiri di Otranto nel 1480.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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