"Non credo nei fantasmi ma vorrei che esistessero"

Lo scrittore che ha inventato Dylan Dog pubblica le sue ballate: "Sono un razionalista innamorato del fantastico e dell'orrore"

"Non credo nei fantasmi ma vorrei che esistessero"

Il suo Dylan Dog ha venduto milioni di copie ed è diventato un fenomeno di costume, i suoi mostri, zombie e fantasmi hanno fatto il giro del mondo, e le sue curvature spaziotemporali quello di vari universi, ma lui, Tiziano Sclavi resta lì, nella sua casa di Venegono Superiore, in provincia di Varese, dove cura otto cani, due gatti («Li amo, rappresentano per me l'innocenza» dice) e, naturalmente, i suoi incubi preferiti.
Nato nel 1953, sclavi ha cominciato il lavoro di autore negli anni 70, con il Corriere dei piccoli. Ha scritto, oltre a testi e sceneggiature per un numero impressionate di albi (non solo Dylan Dog, ma anche Zagor, Mister no, Ken Parker), una ventina di libri, tra narrativa per bambini, filastrocche, romanzi, racconti. Dagli anni 2000 ha abbandonato progressivamente il lavoro di autore per il detective dell'incubo, trasformandosi in supervisore della serie. Enormemente schivo, dà la sensazione di ritenersi più che altro un artigiano. Della paura.
In questi giorni arriva in libreria Le Ballate della notte scura (Squilibri, pagg. 60, euro 15), un libro con cd in cui le sue filastrocche, nere e umoristiche, di andamento villoniano, sono accompagnate dai disegni di Max Casalini, e interpretate dal duo Secondamarea formato da Ilaria Becchino e Andrea Biscaro.
«Ho sempre amato, nella canzone come nella poesia, la rima e la metrica», racconta Sclavi a Il Giornale. «Detesto i versi sciolti. Suppongo che il mio hobby di scrivere canzoni (perché è questo che è, un hobby) venga da un desiderio di imitazione: “copiare” il modo di scrivere dei poeti e soprattutto dei cantautori che amavo e amo tuttora, De André e Guccini in testa».

Lei è un grande collezionista di dischi....
«Ormai i dischi stanno diventando pezzi d'antiquariato. Quindi la mia collezione, che è arrivata a 10 o 12 mila pezzi, me la tengo stretta».

Oltre ai cantautori cosa le piace?
«Tantissima musica. L'heavy metal, la classica (solo il Sei-Settecento, la musica romantica, tranne poche eccezioni, non mi piace), il jazz, il blues, la techno e la dance hardcore».

Veniamo al suo lato horror: in Dylan Dog, torna di tanto in tanto il gatto Cagliostro, quasi come deus ex machina. Ha studiato le testimonianze sul mago siciliano?
«No, lo conosco solo superficialmente. Il nome viene dal film Una strega in Paradiso di Richard Quine, con James Stewart e Kim Novak: anche là il gatto della strega si chiamava, nella versione italiana, Cagliostro».

Quali figure di maghi storici l'hanno particolarmente ispirata?
«Nessuno. Non credo nella magia. I “maghi” in realtà sono, e sono sempre stati, truffatori».

Lei è un razionalista, e tra l'altro un membro del Cicap. Che cos'è allora, il misterioso, il perturbante, per lei?
«Far parte del Cicap non significa rinunciare alla speranza. Non credo ai fantasmi o agli Ufo, ma ci spero».

Si associa spesso il tema del mistero, o dell'horror, alla geografia anglosassone: manieri scozzesi ecc ecc. C'è una specificità italiana, invece, nel suo immaginario misterioso?
«Il mio romanzo Dellamorte Dellamore, da cui è stato tratto il film di Michele Soavi con Rupert Everett, si svolge in Italia, in una cittadina di provincia. Alcuni miti del fantastico, come gli zombi, sono perfettamente importabili nel nostro Paese. Anche i fantasmi. Molto meno i polizieschi (un commissario Quagliarulo, diciamocelo, è meno affascinante dell'ispettore Callaghan o di Sherlock Holmes). Ma di peculiarmente italiano, nel mistero, c'è ben poco. Non a caso Dylan Dog sta in Inghilterra».

Strano il fatto che Dylan Dog sia un seduttore, ma mai vampirico. Non assomiglia all'archetipo del Dongiovanni (l'amante vorace che usa e butta via le donne), ma a quello del Casanova (colui che si innamora di tutte, e tendenzialmente viene lasciato).
«Sì, non è un farfallone. Tutte le volte è vero amore. E quasi tutte le volte vera sfortuna».

Perché Rupert Everett come modello per Dylan Dog?
«La motivazione è stata solo estetica, basata su un unico film, Another Country - La scelta. E bisogna dire che è stato solo il punto di partenza, poi i vari disegnatori hanno ampiamente modificato e reinventato l'aspetto di Dylan, com'è giusto che sia».

Ha mai

conosciuto l'attore inglese?
«Non l'ho mai incontrato. È venuto anche a un Dylan Dog Horror Fest, tanti anni fa, e ha conosciuto Sergio Bonelli, ma io non c'ero. Non partecipo mai alle manifestazioni pubbliche».

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