Quando il vero Duce era Claretta

Durante la Repubblica Sociale la Petacci spronava Benito, ormai alla fine, a trattare da pari a pari con Hitler

L'affascinante, colto e mondano colonnello delle SS Eugenio Dollmann, all'inizio degli anni Sessanta disse di essere convinto che Mussolini, piuttosto che venire liberato dai tedeschi, «avrebbe preferito restare sul Gran Sasso ad ammirare il volo delle aquile». E aggiunse: «Tutti quelli che lo videro, dopo il suo arrivo in Germania, mi dissero che era ormai un uomo stanco, invecchiato. Questo mi hanno ripetuto tutti. E anch'io, quando andai a fargli visita, un mese dopo, alla Rocca delle Caminate, mi resi conto che ormai la sua vicenda politica era conclusa». Mussolini, in effetti, stando anche ad altre testimonianze, era ormai convinto di essere uscito di scena e non è un caso che, appena liberato, avesse manifestato il desiderio di non essere portato in Germania. Il suo trasferimento, però, era stato deciso e voluto direttamente da Hitler ed egli non ebbe né la forza né la possibilità di opporsi. I tedeschi avevano già deciso di utilizzare la carta Mussolini per dare vita a uno Stato-fantoccio.
Quali che siano i motivi in base ai quali egli fu spinto o costretto ad accettare la guida della Repubblica Sociale Italiana, rimane il fatto che, fin dall'inizio, Mussolini fu un prigioniero dei tedeschi e che l'autonomia del nuovo Stato risultò praticamente nulla. Depresso e ridotto all'ombra di se stesso, Mussolini fu consapevole di essere divenuto, politicamente parlando, un «cadavere vivente». Proprio Mussolini. Il cadavere vivente è intitolato un documentario che andrà in onda il 5 settembre su Raitre, la cui fonte principale è il carteggio fra Mussolini e Claretta Petacci a Salò.
La relazione fra Claretta e Ben durava da tempo ed era diversa dalle innumerevoli avventure amorose di Mussolini. I due si erano conosciuti fortuitamente all'inizio degli anni Trenta, ma l'incontro fra la giovanissima Claretta, sognatrice romantica e infatuata di lui al punto da inviargli già da anni poesie roventi, sarebbe diventato presto una passione divorante, struggente e soprattutto stabile: una passione della quale presto si cominciò a vociferare negli ambienti più vicini al Duce. Si pensava che Claretta potesse influenzare il suo Ben e, quindi, la stessa politica e contribuire alla fortuna o sfortuna di chi fosse o non fosse nelle sue grazie. La realtà è assai diversa perché, probabilmente per il suo maschilismo, Mussolini si guardò bene dal far immischiare la sua amante, checché ella potesse pensare o credere, negli affari di Stato e, più in generale, nella politica.
Tuttavia a Salò molte cose cambiarono. Il carteggio fra i due ci mostra una Claretta determinata, filotedesca, dura che conforta il suo uomo semidistrutto e sconsolato, lo pungola, lo invita a reagire, a far pesare la sua personalità, a tornare a essere, insomma, quel Duce che lei, malgrado gli avvenimenti, è convinta che sia. Lo stato d'animo di Mussolini emerge con chiarezza dalle lettere che egli prega di distruggere: cosa che Claretta non fa, pensando alla storia ma forse anche perché la sua infatuazione le avrebbe fatto considerare un atto sacrilego bruciare le parole del suo idolo. Il 20 novembre 1943, per esempio, Ben tratteggia la sua situazione di capo-prigioniero: «l'atmosfera che mi circonda è torbida. Ed io sento nell'aria qualche cosa di grave che si prepara. La mia giornata è sempre più dura e arida. Vivo solo. Non parlo con nessuno. Mi sento circondato. Non mi si vuole dare la possibilità di muovermi. Quando mi muovo, l'apparato italo-germanico di protezione è imponente. Io taccio perché sento che in un'aria così carica di elettricità, ogni parola può essere una scintilla che provoca un terribile scoppio».
Claretta invece non cede allo sconforto. A Mussolini che sta per incontrare Hitler, rivolge un'esortazione: «tu devi presentarti all'amico e al Capo della grande Germania in condizioni di assoluta parità e con un programma nettamente definito e stabilito dal quale non dovrai minimamente deflettere, perché questo sarebbe il segno evidente della tua debolezza e della tua inammissibile inferiorità. \ tu devi sostenere il tuo diritto assoluto di decidere senza sindacare delle questioni interne italiane, nonché degli uomini che tu ritieni più adatti alla tua grandiosa e faticosa opera di ricostruzione. La discussione e la collaborazione può avvenire sulle idee sui principi e sui metodi, ma mai sugli uomini. Tu devi affermare nettamente inequivocabilmente e decisamente la tua assoluta autonomia. Questa è la base di tutto. Cedendo su questo punto, cedi su tutto».
Il 29 settembre 1944, poi, gli scrive: «Caro bellissimo, la tua debolezza di fronte a uomini a te inferiori mi brucia e mi umilia. Ricordati, Ben, tu sei il Duce, il Capo, anche se di pochi, anche su di un metro quadrato di territorio, sei e sarai sempre Mussolini e per te si vive e per te si muore! Tu puoi ascoltare ma mai accettare la volontà altrui quando questa tenta di minimizzarti e di avvilirti. Fai un colpo di forza che ti metterà al di sopra di tutti». E ancora, il 18 dicembre 1944, dopo il discorso al Teatro Lirico di Milano, è convinta di avere ritrovato il vero Mussolini: «il tuo discorso è stato il tuo migliore canto. Forse mai tu fosti così grandemente tu, nell'espressione, nella voce, nelle sfumature, nello stile inconfondibile, nella finezza politica, nel tono mordace. \ Chi crede in te è vivo, chi ti segue vive, chi respira di te, anche se morente risorge. Tu hai ridonato all'Italia ciò che le facevi mancare da troppo tempo, il tuo impulso giovanile, il tuo urto possente, la tua personalità unica. Finalmente! Tu non credevi più in te stesso, e il popolo pur credendo in te, non ti sentiva. Ora ti sei ritrovato in te e nel tuo popolo. Hai superato te stesso, Ben, sei come salito d'improvviso in una biga di fuoco fatta di sole, abbagliante di luce: non discendere, non sperdere questo splendore, non lasciar cadere nel nulla quest'apoteosi, non lasciarti invilire, non cedere più, non esitare sii sempre il Duce di queste ore sublimi. Non dimenticare te stesso, per poter essere sempre te stesso, non dimenticarti».


Il rapporto fra i due amanti, nel tragico crepuscolo della loro esistenza, va oltre la storia individuale, anche se la grande storia, quella vera e collettiva, passa sulle loro teste, sulle loro illusioni, sulle loro schermaglie. Sul «cadavere vivente», insomma, e sull'amante appassionata.

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