Riscrivere per dominare, la Storia come arma dei regimi (e non solo)

Dalle guerre puniche ai rapporti tra fascismo e Paesi anglosassoni: quante omissioni, reticenze o falsità sono state raccontate Demistificare è dovere di ogni studioso serio

Riscrivere per dominare, la Storia come arma dei regimi (e non solo)

Non è mai esistito, stando ai documenti e ai testimoni, alcun carteggio segreto fra Mussolini e Churchill (ma i vecchi editori Mondadori e Rizzoli si gettarono a capofitto nel mercato dei falsi diari e dell'inglese maccheronico). La conseguenza di questa realtà è che la vicenda della fucilazione segreta di Mussolini per far sparire il carteggio sarebbe una balla. Ci fu semmai nel 1940 lo scambio di lettere, una di Churchill («Ci ripensi, non ci muova guerra») e una secca risposta di Mussolini che diceva: ormai è fatta. Punto e fine della storia. Non è neppur vero che gli angloamericani lasciavano a secco di rifornimenti le formazioni partigiane a direzione comunista, ma anzi le preferivano perché più combattive. Non è vero che gli ebrei fossero ai tempi di Maometto più filo-cristiani che filo-islamici, ma anzi convissero in modo pacifico e tollerante con gli arabi finché questi rappresentarono una civiltà organizzata, poi tutto cambiò.

Ancora: la stampa e i politici anglosassoni si infuriarono contro Israele quando il suo servizio segreto Mossad rapì Adolf Eichmann in Argentina nel 1960 per portarlo davanti ai giudici di Gerusalemme (ci volle Hannah Arendt con le sue corrispondenze sul New Yorker per gettare un po' di luce su ciò che realmente era accaduto). Infine, l'invenzione dei popoli, delle patrie, delle antiche culture, sarebbe poco meno che una prepotente invenzione romantica per giustificare ambizioni politiche e territoriali. Quando l'Impero romano assimilò i primi barbari, sorsero potentati e aggregati che non avevano capo né coda.

La storia come arma di suggestione e di distruzione permanente è una conseguenza della nascita della scrittura, benché il software fosse già predisposto nella mente umana: non ci volle molto a capire che i vincitori avrebbero sempre considerato il passato come preda di guerra. Anzi, un diritto: cancello il tuo esercito e cancello con la tua identità anche il tuo passato per essere sicuro di governare il futuro. Il mito di Annibale, caro anche a Sigmund Freud, sta nel mito antiromano e antioccidentale anche perché Roma con lo slogan «delenda Carthago» ridusse letteralmente in polvere la capitale dei Fenici, come aveva fatto Alessandro a Persepoli. Il mito celtico, altro esempio, ha certamente ha le sue radici anche nella ferocia con cui Giulio Cesare sterminò un milione di galli e altrettanti ne rese schiavi. Distruggere il nemico è una costante della guerra ma accanto a quella dei missili e dei cannoni crescono le quotazioni della propaganda e dell'amnesia.

Ha fatto banalmente scalpore il caso di non so quale Miss che in un'intervista televisiva non sapeva dove collocare Hitler nel tempo e nello spazio. Del resto le risposte dei giovani e meno giovani, quando interpellati dai media, sono in genere comiche e scandalose. Il vuoto della memoria si allarga e su quel vuoto cresce a cespuglio la propaganda.

Il nuovo libro di Paolo Mieli L'arma della memoria ha un sottotitolo etico: Contro la reinvenzione del passato (Rizzoli, pagg. 427, euro 20). Leggerlo, procura un vacillamento e il risultato è di nuovo la non medicabile certezza illustrata da George Orwell: chi controlla il passato controlla il futuro. Mieli ci ha abituato alla cadenza piuttosto regolare dei suoi libri, in parte anticipati per capitoli sul Corriere della Sera , e delle sue trasmissioni televisive oneste, anticonformiste e di qualità. Questo lavoro da storico, e da giornalista, dovrebbe provocare curiosità e contrasti morali e politici. L'impressione però è che sia tardi: pochi vogliono sapere ciò che «realmente» accadde, mentre tutti vogliono sapere come usare politicamente la verità attraverso la reticenza, la manipolazione, l'omissione, le costruzioni abusive.

Quando vivevo a New York una ventina d'anni fa restavo stupìto dall'ingenuità disarmante delle domande della gente sul fascismo, che nella damnatio memoriae nessuno distingueva dal nazionalsocialismo hitleriano. Dunque mi incuriosì molto il successo di un saggio di Jonah Goldberg intitolato Liberal Fascism (più o meno: fascismo di sinistra) in cui si spiegava agli americani la genesi di un movimento nato dall'estremismo rosso del giovane Mussolini amato da Lenin e che aveva influenzato nel bene e nel male la politica occidentale «degli ultimi settantacinque anni e anche il momento presente» come ha scritto Tom Wolfe. Ed ecco che ritrovo oggi in L'arma della memoria di Mieli molti dettagli poco noti, omessi o sottovalutati che formano connessioni importanti ad esempio sui rapporti duraturi e speciali tra il presidente americano Franklin Delano Roosevelt e il duce fascista, che ricordano l'amicizia fra l'illuminista napoletano Gaetano Filangieri e Benjamin Franklin, padre fondatore americano (e inventore del parafulmine) come ricostruita da Lucio Villari in America amara, storie e miti a stelle e strisce . Giudizi e pregiudizi producono o riducono illusioni e leggendo Mieli si ha un'impressione simile a quella di coloro che dopo aver speso anni per rimuovere croste di cera, fumo e restauri truffaldini alle opere d'arte sono stati aggrediti come revisionisti, distruttori di miti oscuri (il fumo delle candele) per scoprire che Michelangelo nella Cappella Sistina usava gli stessi colori dei cartoni animati di Walt Disney.

Cosa questa che ricorda la celebre battuta che Charles Schulz, il creatore di Charlie Brown, presta al suo personaggio Pigpen, il più sudicio bambino del mondo, che rifiuta di lavarsi dicendo: «Chi sono io per togliere la polvere dei secoli?». La storia, come percezione attendibile del passato, sembra ancora nelle mani sporche di Pigpen in attesa di storici non conformisti, pazienti e per questo spesso micidiali.

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